La verità sulla rivolta di al-Husayn, del martire ayatollah Morteza Motahhari.
Breve Biografia dell’Autore
L’Ayatullah Murtadha Mutahhari è nato nel 1920 in Farīmān, vicino a Mashhad, Iran. Ha iniziato i suoi studi religiosi a Mashhad e qui ha scoperto il suo grande amore per la filosofia, la teologia [‘kalam’] e il misticismo [‘irfan’]. E’ questo amore che ha dato forma alla sua concezione dell’Islam. A Qom ha potuto apprendere da alcuni grandi insegnanti: ha studiato Fiqh e Usul con l’Ayatullah Hujjat Kuhkamari, l’Ayatullāh Sayyid Muhammad Damad, l’Ayatullāh Sayyid Muhammad Ridha Gulpayagani, Hajj Sayyid Sadr al-Din al-Sadr e l’Ayatullah Burujerdi. Il suo maestro a Qom è stato l’Ayatullah Ruhullah Khomeyni.
Ha avuto un ruolo fondamentale nella Rivoluzione Islamica dell’Iran: cofondatore dell’Hosseiniye Ershad e dell’Associazione dei religiosi militanti (Jāme’e-ye Rowhāniyat-e Mobārez), membro del Comitato della Rivoluzione Islamica, fu barbaramente assassinato il 1 maggio 1979 a Tehran da un gruppo terroristico controrivoluzionario. Che Dio gli conceda la sua misericordia ed elevi la sua poszione presso di Lui per amore della Guida dei martiri, al-Husayn.
La verità sulla rivolta di al-Husayn
“La realtà dei diversi fenomeni varia. Così ogni insurrezione o rivolta è unica per quanto riguarda la o le verità alla base del suo scoppio [e del suo eventuale successo o insuccesso].
Per comprendere una questione particolare o una certa situazione, bisogna conoscere le ragioni profonde che sottostanno alla sua forma determinata e le caratteristiche che le hanno dato il suo aspetto specifico. Bisogna anche essere consapevoli delle cause di questa questione o problema, ad esempio ciò che lo costituisce o i suoi ingredienti. In altre parole: le forze/cause che hanno prodotto la rivolta o insurrezione, che rappresentano la sua la sua verità sono dette ‘le cause all’opera’.
La natura della rivolta e i suoi obiettivi rappresentano ‘i suoi intenti e propositi. Il piano d’azione effettivo, la sua implementazione e tutto ciò che comporta rappresentano ‘le sue cause materiali’.
Il risultato finale che la rivolta produce rappresenta il suo ‘quadro complessivo’. [Se applichiamo questi parametri], l’insurrezione dell’Imam Husayn fu il risultato di uno scoppio d’ira?
L’Islam è diverso da altri movimenti per il cambiamento o la riforma che ebbero luogo come risultato di certe circostanze le quali a loro volta portarono allo scopio di rivolte. L’aproccio dialettico [dei movimenti marxisti, qui Mutahari è ingeneroso ma motivato dal contesto NdT], per esempio, incoraggia l’acutizzarsi del conflitto, fomentando lo scontento e facendo opposizione anche a riforme condivisibili allo scopo di arrivare allo scontro frontale, cioè a una rivoluzione esplosiva, non a una rivoluzione consapevole.
L’Islam non approva questo tipo di rivoluzione. La storia della maggior parte delle rivolte e insurrezioni islamiche parla dei motivi razionali dietro queste rivolte, cui si giunse in conseguenza di una completa comprensione dello ‘status quo’ che si era decisi a cambiare. Così la rivolta dell’Imam Husayn non fu il risultato di uno scoppio d’ira, provocato dalle pressioni esercitate dal Governo Umayyade, soprattutto durante i regni di Mu’awiyah [il fondatore della dinastia] e di suo figlio Yazid. Fu al contrario una mossa ben calcolata.
Ciò che sostanzia la posizione dell’Imam (la pace di Dio sia su di Lui) a questo proposito si coprende dalle lettere che scambiò con entrambi [Mu’awiyah e Yazid] e dal discorsi che tenne in diverse occasioni, soprattutto quello che rivolse ai compagni del profeta (la pace di Dio sia su di Lui e sulla sua famiglia) in Mina, [luogo dell’Hajj alla Mecca].
Tutto questo punta con evidenza a una conclusione: l’Imam era pienamente consapevole di ciò che intendeva fare, ovvero affrontare apertamente il potere costituito [illegittimo e ingiusto]. La sua rivolta fu priva di ogni risentimento, al contrario fu un’insurrezione puramente islamica.
Se consideriamo la rivolta dell’Imam Husayn da un altro punto di vista, ad esempio il modo in cui tratta i suoi compagni, non possiamo giungere che a una conclusione: egli era ben deciso a non lasciare che i sentimenti dei suoi compagni divenissero estremi, per evitare in ogni modo che la sua rivolta potesse essere descritta come ‘esplosiva’ [impulsiva]. Fanno parte di questa strategia i ripetuti inviti ai suoi compagni affinché lasciassero il suo campo, per risparmiare loro il destino che li attendeva tutti, lui incluso. Più di una volta ricordò loro che non dovevano aspettarsi alcun guadagno materiale dalla loro spedizione, se non la morte certa.
Dopo aver lodato i suoi comapgni, descrivendoli come gli amici migliori, egli li pregò un’ultima volta, la notte del 10 di Muharram [Islamicamente la notte di un giorno segue il tramonto del giorno precedente NdT], [62 dopo l’Egira, 680 dell’Era comune], di andarsene se volevano, mettendo in chiaro che sarebbero stati salvi poiché gli Umayyadi non volevano che la sua testa. E’ ben difficile che un capo interessato ad utilizzare lo scontento del suo popolo per spingerlo alla rivolta parli come l’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) parlava ai sui compagni. E’ vero che egli aveva il dovere di spiegare loro l’obbligo religioso di insorgere contro un Governo dispotico, e che resistere all’ingiustizia e alla repressione era dunque un obliggo che dovevano assolvere, ma egli voleva che i suoi compagni assolvessero il loro obbligo di loro spontanea volontà, senza coercizione.
Per questo egli ripete’ loro di scivolare via dal campo di battaglia col favore delle tenebre e che il nemico non li avrebbe inseguiti se fossero fuggiti. Non soltanto: li informò che li scioglieva dal loro giuramento di fedeltà, lasciava alla loro coscienza la decisione di abbandonarlo.
Ovvero, qualunque fosse stata la loro decisione, avrebbe dovuto essere dettata dalla volontà di stare dalla parte giusta, senza costrizione, sia da parte sua sia da parte del nemico. Sarebbe stata la loro propria scelta. Tuttavia è proprio la loro libera decisione di rimanere con l’Imam a dare ai martiri di Karbala’ l’altissima considerazione in cui sono tenuti.
Per fare un confronto fra la posizione presa dall’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) e Tariq bin Ziyad nella battaglia di Jabal Tariq [la Roccia di Gibraltar], potremmo dire che ciò cui Ibn Ziyad fece ricorso è sintomatico di un capo con una mentalità da politico, laddove l’Imam Husayn scelse consapevolmente di non forzare i suoi compagni d’armi a combattere.”
Post Scriptum del traduttore
Questo aspetto della vicenda di Karbala ricorda moltissimo quella dell ‘trincea Kumayl’ durante la Sacra Difesa della Rivoluzione Islamica dell’Iran contro l’aggressione della dittatura filoimperialista di Saddam Hussain. In “La pace sia su Ibrahim” uno dei pochissimi sopravvissuti racconta che quando fu chiaro che la morte era inevitabile Ibrahim Hadi chiese ai compagni di scegliere fra la vita e il martirio, senza costringere nessuno a rimanere. Infatti soltanto due o tre combattenti approfittarono della notte per raggiungere le retrovie, cosa tutt’altro che facile per via dei campi minati e dei cecchini. Tutti gli altri rimasero, nonostante non avessero da giorni né cibo né acqua. Un giovanissimo volontario disse: “Siamo venuti qui per cercare la soddisfazione del nostro Imam, che Dio affretti il suo avvento. Che cosa proverebbe se ci vedesse fuggire o arrenderci?” Dalle retrovie li sentivano sparare e si meravigliavano che in quella trincea assediata si combattesse ancora. Poi ci fu silenzio. Furono finiti sul posto a colpi di pistola e soltanto dopo anni i loro corpi furono ritrovati. Quello del martire Ibrahim Hadi mai, come lui stesso aveva desiderato. Preghiamo Dio che innalzi la loro stazione presso di Lui e che ci garantisca la loro intercessione affinché anche noi possiamo raggiungere il massimo onore che è stato loro concesso!
Ciò che fece Ibn Ziyad fu bruciare tutte le scorte di cibo tranne quelle che potevano bastare alle sue truppe per ventiquattro ore. Poi si rivolve loro con un discorso la cui sostanza era che non avevanoaltra scelta che vincere la battaglia, mettendo in chiaro che se non avessero vinto ci sarebbero state soltanto due possibilità: essere sbaragliati dall’esercito nemico o essere affogati in mare se avessero deciso di fuggire. Al contrario l’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) lasciò la scelta al piccolo gruppo dei suoi seguaci se affrontare il nemico in battaglia o andarsene, poiché né il nemico né lui li costringevano a combattere.
Infatti la rivolta dell’Imam aveva le sue radici nella completa consapevolezza, da parte di tutte le parti del suo campo, della sua inevitabilità. Quindi non va descritta come il prodotto del risentimento di un uomo. Questa rivolta responsabile ebbe una molteplicità di fattori e per questo non fu una singola entità né un movimento con un singolo scopo.
Una delle differenze che esistono fra le questioni del mondo fisico e quelle del mondo sociale è che nel mondo materiale i minerali esibiscono sempre un’unica essenza. Ad esempio non si possono trovare in un materiale grezzo oro e rame in una singola entità. Al contrario nei fenomeni sociali è del tutto possibile che un singolo fenomeno possa esibire una varietà di realtà ed essenze. L’uomo è una meraviglia perché può vantare diverse essenze allo stesso tempo.
Jean-Paul Sartre, [1905-1980], il filosofo e scrittore esistenzialista francese, sosteneva che l’esistenza dell’uomo precede la sua essenza. Aveva ragione per quanto riguarda questa parte dell’affermazione. Inoltre l’uomo può avere diversi aspetti allo stesso tempo. Ad esempio può mostrare l’aspetto di un angelo, di un maiale e di una tigre.
Di conseguenza si può dire che i fenomeni sociali possono esibire una realtà multi-dimensionale. La rivolta dell’Imam Husayn è un evento di questo tipo: dalle molte sfaccettature, perché diversi fattori avevano contribuito a produrla. Ad esempio una rivolta potrebbe scoppiare in reazione a un evento particolare, cioè sotto l’impulso del momento. Può essere una reazione positiva in relazione a una certa tendenza e negativa in relazione a un’altra tendenza. Tutti questi fattori erano presenti nella rivolta dell’Imam Husayn, da qui la descrizione: ‘una rivolta dai diversi aspetti’.
Storicamente, il primo fattore nell’insurrezione dell’Imam fu la richiesta da parte degli Umayyadi che egli giurasse fedeltà a Yazid. Nell’intento di assicurare a suo figlio Yazid il seguito di tutti i musulmani, Mu’awiyah mandò un emissario a Medina per assicurarsi che l’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) prestasse questo giuramento. Nel farlo Mu’awiyah mirava a creare un precedente per il governanti che l’avessero seguito nel nominare il loro successore, trasformando il califfato in una Governo dinastico.
E’ degno di nota che insistere nell’assicurarsi il giuramento di fedeltà dell’Imam significava legttimare il califfato. Quale fu la risposta dell’Imam Husayn a questa richiesta? Naturalmente fu il rifiuto, se non altro perché Husayn (la pace di Dio sia su di lui) era il nipote del profeta (la pace di Dio sia su di lui e sulla sua famiglia) ed era ben noto per la sua devozione e per la sua indifferenza ai piaceri mondani. [Yazid era altretanto come miscredente e debosciato. NdT]
Nel ricevere la notizia del rifiuto da parte dell’Imam il gruppo al potere passò alle minacce contro di lui. La sua risposta fu che preferiva morire piuttosto che sostenere la successione di Yazid al califfato. Fin qui quella dell’Imam fu una reazione di tipo passivo a una richiesta illecita. In altre parole, fu una reazione basata sulla devozione e una realtà derivante dalla parola d’ordine: “Non c’è altro dio che Dio”, che rende obbligatorio per il credente dire no ad ogni richiesta illegittima.
Questo rifiuto non fu l’unica ragione della rivolta dell’Imam. C’era un’altra questione, che dimonstrava il principio sotteso a questa rivolta: era una reazione positiva. Ovvero, dopo la morte di Mu’awiyah il popolo di Kufa, [Iraq] si ricordò del califfato di ‘Ali (la pace di Dio sia su di lui) quasi vent’anni prima. A dispetto del fatto che molti dei compagni di ‘Ali, come Hijr bin Adi, Amr bin Hamq al-Khuza’ie, Rashid al-Hijri e Maytham at-Tammar erano stati elimiti dalla macchina del terrore Umayyade, così da privare Medina dei ‘pesi massimi’ fra i compagni del profeta [quelli che ne incarnavano la sunna e facevano resistenza NdT], la gente si ricordava di come ‘Ali (la pace di Dio sia su di lui) fosse l’esempio del vero musulmano e di come il suo fosse un Governo giusto.
Così a Kufa si riunirono e convennero di rifiutare il sostegno a Yazid come califfo, volgendo la loro attenzione all’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) ed offrendogli di riconoscerlo come il loro califfo islamico. [Da notare che ‘califfo’ significa rappresentante di Dio in terra cfr Qur’an 2:31 in cui Dio parla di Adam (la pace di Dio sia su di lui) in questi termini. Cfr www.al-islam.org/articles/passages-quran-khilafat per i versetti in cui compare il termine ‘khalifa’ NdT] Scrissero all’Imam a questo scopo, dicendosi pronti ad accoglierlo affinché ristabilisse il Governo islamico a Kufa. Centinaia di migliaia di persone firmarono quelle lettere.
Di conseguenza questa gente non lasciò all’Imam altra scelta che accettare la loro richiesta. Questa fu una reazione positiva. In conclusione, si può dire senza esitazione che il movimento dell’Imam ebbe veramente una natura legittima: un gruppo di musulmani iniziò l’azione e l’Imam dovette dare loro una risposta positiva.
Nel tenere fede al proprio obbligo religioso, l’Imam non ebbe altra scelta che annunciare il suo aperto rifiuto di sanzionare la nomina di Yazid [da parte di suo padre] come Califfo, se non altro per porsi al di sopra di ciò con cui avrebbero voluto macchiare la sua purezza. Tuttavia, se avesse accettato la proposta di Abdullah bin Abbas di ritirarsi nelle montagne dello Yemen per sfuggire alle truppe di Yazid, si sarebbe garantito la salvezza.
D’altra parte si sarebbe sottratto alla colpa di condonare la nomina di Yazid come Califfo. Eppure, dato che la questione aveva a che fare anche con l’appello rivoltogli da queste centinaia di migliaia di persone egli non ebbe altra scelta che accettare il loro appello in nome di un obbligo religioso.
E questo a dispetto del fatto che tutto indicava che i kufani non sarebbero stati all’altezza del compito e che erano al tempo stesso passivi e spaventati. Non di meno il suo senso di responsabilità gli rese obbligatorio rispondere alla loro chiamata e dare dunque alla storia la risposta giusta. Se avesse scelto di ignorare l’appello dei kufani, oggi sarebbe stato criticato per non averlo fatto. [Questo risponde anche a chi utilizza i fatti di Karbala per negare che l’Imam (la pace di Dio sia su di lui) avesse ‘elm al-gheyb’, la conoscenza delle cose nascoste ovvero del futuro. E del resto il profeta (la pace di Dio sia su di lui e sulla sua famiglia) aveva predetto in molte occasioni il martirio di al-Husayin (la pace di Dio sia su di lui), tanto che i musulmani ne erano perfettamente a conoscenza. NdT]
La rivolta dell’Imam Husayn: le cause
Come abbiamo già detto, l’invito rivolto dai kufani all’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) affinché si recasse a Kufa e stabilisse lì un Governo islamico rappresentava il terzo lato [del triangolo] di cause della sua rivolta. La richiesta degli Umayyadi che l’Imam sostenesse la nomina di Yazid nella posizione del Califfato rappresentava la ‘strategia difensiva’.
Tuttavia, come è noto, l’Imam coerentemente respinse la richiesta e si dispose ad opporsi al corrotto gruppoo di potere con ogni mezzo a sua disposizione pur di tenere fede al dovere religioso di ‘sostenere il bene e proibire il male’. Questa terza componente può essere definita come ‘la strategia di attacco’ della rivolta dell’Imam.
Esaminiamo adesso in dettaglio questi fattori per capire quale di essi pesava più degli altri. Non c’è bisogno di dire che ognuno dei tre fattori è diverso dall’altro nel su valore cumulativo e per la sua importanza nella rivolta. Cioè, ognuna delle cause che vi contribuirono aggiunse, a proprio titolo, una dimensione unica e significativa alla rivolta.
Ad esempio l’accettazione da parte dell’Imam dell’invito dei kufani ad andare a Kufa è tanto significativo quanto gli altri due fattori e dunque in accordo con la loro importanza e impatto sul [risultato finale] della revolta. Fra i diversi fattori è questo che rafforza il significato di un certo movimento. Allo stesso modo il capo del movimento può influenzare questo particolare fattore in modo da elevarne il profilo.
L’essere umano ad esempio è ben consapevole di molte cose cui attribuisce importanza. Ad esempio il suo aspetto: il desiderio di possedere gioielli può essere considerato un’altra esperienza significativa. Ci sono anche altre cose materiali e astratte che un uomo desidera avere poiché sono considerate un’esibizione di bellezza. E senza dubbio il potere e l’alto profilo, specialmente le posizioni divine, sono viste dall’uomo come una fonte di orgoglio, di splendore e di valore. Perfino l’apparenza materiale esterna, che denota questi valori aggiunti [ad es. le insegne del potere, gli status symbols NdT], conferisce a un uomo un valore aggiunto.
Per illustrare questo punto, prendiamo una persona che indossa l’abito distintivo del religioso. Sebbene in sé l’abito non sia indicativo della religiosità di chi lo indossa e non rappresenti un criterio per misurare la sua erudizione né il livello della sua devozione, tuttavia si può constatare che dà questa impressione a chi lo vede.
Allo stesso modo la persona che indossa questi abiti può ottenere il rispetto e la considerazione degli altri. Per lo stesso motivo questo abbigliamento diventa fonte di orgoglio per la persona che lo indossa. La parabola di questo fenomeno sono i gioielli indossati da alcune donne, che le adornano e danno loro un senso di soddisfazione e orgoglio.
Lo stesso paragone si può applicare alle rivoluzioni: ci sono molti fattori capaci di rafforzare la loro ricchezza e attrattiva. Questo è il risultato delle differenze teoretiche fra una rivoluzione e un’altra. Alcune sono prive di dimensione morale e caratterizzate invece dalla bigotteria, altre possono essere puramente materialistiche, e questo dà loro un carattere distintivo. E così se una rivoluzione è caratterizzata da aspetti morali, umani e divini sarà ben al di sopra di tutte le altre rivoluzioni.
Dunque tutti e tre questi fattori che contribuirono a dare inizio alla rivolta dell’Imam Husayn le dettero il significato che vanta, specialmente il terzo fattore. A volte una persona particulare con un significato particulare in una insurrezione particulare le aggiunge nuovo valore, un valore aggiunto e un significato speciali.
Così come certi fattori aggiungono un valore nuovo al valore della persona, questa a sua volta dà risalto a quel valore. Ad esempio l’abito di una persona spirituale (religioso) o di un professore universitario possono trasmettere orgoglio e una bella apparenza a chi indossa quelle uniformi. E’ vero anche il contrario: le persone che indossano quell’abito sono fonte di orgoglio e valore estetico grazie al loro carattere impeccabile, alla loro probità e conoscenza.
Sa’sa’a bin Sawhan era uno dei compagni dell’Imam ‘Ali e ben noto come un consumato oratore, egli fu lodato dal famoso letterato al-Jahidh. Quando voleva congratularsi con l’Imam per la sua elezione alla carica di Califfo, egli disse all’Imam qualcosa di diverso da tutti gli altri: “Oh ‘Ali! Sei tu che adorni di splendore il califfato. Sei tu la fonte del suo orgoglio. A te il califfato non aggiunge né grandezza né orgoglio. Il califfato aveva bisogno di una persona del tuo calibro, non eri tu ad avere bisogno del califfato. Io perciò mi congratulo con il califfato poiché il tuo nome è divenuto suo sinonimo, non applaudo te perché sei diventato Califfo!”
Di conseguenza si può dire che il fattore ‘sostenere il bene e vietare il male’ dette alla rivolta dell’Imam Husayn un significato ulteriore. E con il proprio sacrificio e quello della sua famiglia e dei suoi compagni l’Imam alzò il profilo di questa instituzione [‘sostenere il bene e vietare il male’ NdT].
Molti sostengono di voler osservare quest’obbligo religioso. L’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) lo dimostrò sul campo: “Il mio scopo è sostenere il bene e vietare il male e seguire la ‘sunnah’ [tradizione] tdi mio nonno e mio padre.” Questa è la parabola dell’Islam, e dovrebbe essere fonte di orgoglio per molti. E ci sono stati Musulmani cari all’Islam e che sono fonte d’orgoglio. I vari titoli che molti luminari si sono guadagnati, come ‘Fakhrul Islam’ – l’orgoglio dell’slam, ‘Izzuddin’ – la gloria della religione’ e ‘Sharafuddin – l’onore della religione’ sono indicativi di questo significato. Abdu Thar, Ammar bin Yasir e Ibn Sina sono stati cresciuti negli ideali dell’Islam e ne sono poi divenuti fonte di orgoglio. L’Islam a sua volta è orgoglioso di alcuni dei suoi figli che sono divenuti parte della sua immagine, tanto da ottenere fama internazionale, se non altro perché hanno lasciato il loro segno nella civilizzazione umana. Il mondo non può negare il contributo di Khawaja Nasiruddin at-Tusi alla civilizzazione umana perché a lui va il credito di alcune scoperte relative alla luna.
Si può dunque dire che l’Imam Husayn bin Ali la pace di Dio sia su di lui) ha dato alla tradizion di ‘sostenere il bene e proibire il male’ lo slancio che richiedeva in quel momento. E quando si dice che questa istituzione alza il profilo dei musulmani, non lo si dice a caso. Lo dice il sacro Qur’an:
“Voi siete le persone migliori che siano mani esistite perché sostenete ciò che è giusto e proibite ciò che è sbagliato, e credete in Allah” (Qur’an 3:110)
Basta riflettere sulle implicazioni di questo versetto, soprattutto per quanto riguarda la qualità assegnata a ‘le migliori persone’. Cioè: è semplicemente perché si attengono al proprio dovere religioso di ‘sostenere il bene e proibire il male’ che esse si sono gudagate questa lode sublime. Così il valore di questa ‘ummah’ (comunità) sta nell’attenersi a quest’obbligo.
Tuttavia, per quanto riguarda la rivolta dell’Imam Husayn, è l’Imam che ha conferito questo onore sublime a quest’obbligo col suo sacrificio personale e con quello della sua famiglia e dei suoi compagni. Invece non soltanto noi musulmani non siamo all’altezza della responsabilità di attenersi a quest’obbligo religioso, ma stiamo dimostrando di essere di pregiudizio per esso. E’ un peccato che la gente abbia prestato più attenzione a cose non così importanti, come farsi crescere la barba e poibire agli umini di inossare oggetti d’oro, e abbia affrontato soltano a parole questioni ben più significative di cui è importante occuparsi.
Al contrario l’Imam Husayn (che la pace di Dio sia su di lui) si ribellò per mantenere vivo il principio di ‘sostenere ciò che è giusto e proibire ciò che è sbagliato’ in tutte le sfere della vita. Era solito dire che Yazid era l’epitome del rifiuto e che doveva essere cancellato dal mondo dell’Islam. Affermava inoltre che l’Imam [guida] dei musulmani deve essere quello che si attiene alle prescrizioni contenute nel Libro di Dio, amministra la giustizia e segue la vera religione.
L’Imam Husayn sacrificò tutto per salvaguardare questa istituzione e metterla in pratica. L’Imam dette un significato più sobrio alla morte in nome di questa causa. Da allora essa implica grandezza e onore. Da quando cominciò il suo viaggio da Medina a Karbala’, non smise mai di parlare della morte con dignità e onore, ovvero la morte in nome del diritto, della verità e della giustizia. Una simile morte è come una bella collana che adorna il collo di una giovane donna. Nel suo viaggio fatale per Karbala’ l’Imam recitava spesso il verso di una poesia. La poesia recita più o meno così: Nonostante questa vita sia dolce e bella, la vita a venire è più dolce e più bella. Poiché alla fine l’uomo si lascerà alle spalle, dopo la morte, tutti i suoi beni terreni, il bene viene dal dare via le proprie ricchezze per una buona causa, invece di accumularli. Per lo stesso motivo, visto che il corpo umano diventerà polvere dopo la morte, perché non morire una morte dolce e onorevole? Così morire con la spada in mano combattendo per la causa di Dio è molto più grande e onorevole.
Dall’altra parte di questa equazione, l’esempio di Abu Salama al-Khallal, che veniva detto ‘il Ministro della famiglia di Muhammad’ alla corte del califfo abbaside, serve da esempio del contrario della morte onorevole di cui sopra.
La sua storia andò cosìs: quando perse il favore del califfo abbaside, un incidente che più tardi pagò con la vita, egli scrisse due lettere, una all’Imam Ja’far as-Sadiq (la pace di Dio sia su di lui) e l’altra a Muhammad bin Abdullah al-Mahdh, offrendo loro i suoi servigi e quelli di Abu Muslim, [con l’intenzione di organizzare una congiura di palazzo]. Questo era il suo messagio: “Se siete pronti [a prendere il potere] e accettate la nostra offerta, noi li uccideremo [i governanti abbasidi ].”
La prima impressione che dà il contenuto di queste lettere è che chi scrive è sleale, perché indirizza la lettera a due diverse persone, ma soltanto quando il suorapporto col suo signore si è guastato.
Appena l’Imam as-Sadiq ricevette la the lettera e l’ebbe letta, la bruciò davanti agli occhi dell’emissario che glie l’aveva portata. Quando il messaggero chiese all’Imam quale fosse la sua risposta, l’Imam rispose che non aveva niente da aggiungere a ciò che il messaggero aveva appena visto.
Il califfo abbaside uccise Abu Salama prima che il suo messaggero lo potesse incontrare. Sembra che alcuni sollevino obiezioni e chiedano perché l’Imam non rispose positivamente all’invito di Abu Salama che lo incitava a insorgere per prendere il potere con il suo aiuto. La risposta è che le intenzioni di Abu Salama erano note, egli non era sincero nel suo appello dato che scrisse la sua lettera subito dopo aver perso il favore del califfo abbaside, sicuro di non potersi fidare più di lui. E così poco dopo egli andò incontro a una morte violenta.
Nondimeno se l’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) avesse fatto finta di non vedere tutte le lettere che aveva ricevuto dai kufani e che lo invitavano a andare da loro e instaurare un Governo islamico non avrebbe mai potuto evitare una simile critica. L’Imam Husayn rispose positivamente agli appelli dei kufani quando realizzò che erano sinceri. A quel punto era suo dovere rispondere.
Esaminiamo quale delle altre due questioni venne prima e di conseguenza ebbe la precedenza sull’altra. Il rifiuto dell’Imam alla richiesta degli Umayyadi di sostenere pubblicamente Yazid come califfo venne prima? Cioè prima dell’invito dei kufani ad andare a Kufa e formare un Governo islamico? Non c’è bisogno di dire che il primo venne prima, perché la richiesta di giurare fedeltà a Yazid fu fatta all’Imam Husayn immediatamente dopo la morte di suo padre Mu’awiyah.
Il messaggero che portò la notizia della morte di Mu’awiyah al Governatore di Medina, portò con sé una lettera con la richiesta che l’Imam Husayn e alcune altre personalità sostenessero pubblicamente la successione di Yazid al califfato. E’ del tutto probabile che i kufani non sapessero ancora della morte di Mu’awiyah.
Gli eventi storici supportano questa teoria. Ovvero, passarono molti giorni dal rifiuto dell’Imam Husayn alla richiesta di giurare fedeltà a Yazid prima che egli fosse costretto a lasciare Medina e imbarcarsi nel suo movimento di opposizione e a mettersi poi, il 27 Rajab, sulla via per la Mecca. Arrivò alla Mecca il 3 di Sha’ban. Ricevette le lettere dei kufani il 15 di Ramadhan. Cioè un mese e mezzo dopo che gli umayyadi ebbero reso nota la loro intenzione di chiedere all’Imam di giurare fedeltà a Yazid e il suo conseguente reciso rifiuto. L’Imam Husayn rimase alla Mecca quaranta giorni. Di conseguenza egli non rifiutò la richiesta degli umayyadi di sostenere pubblicamente Yazid come Califfo per l’appello dei kufani a recarsi a Kufa per formare un Governo islamico. Egli rese apertamente chiara la sua posizione dichiarado che non avrebbe giurato fedeltà a Yazid, nemmeno se gli fosse rimasto su tutta la Terra appena il posto per mettere un piede. Questa è dunque la sconda ragione per l’insurrezione di al-Husayn (la pace di Dio sia su di lui).
Il terzo pilastro dell’insurrezione dell’Imam è il rispetto del dovere islamico di ‘sostenere il bene e proibire il male’. L’Imam (la pace di Dio sia su di lui) cominciòil suo movimento di protesta da Medina ben deciso ad assolvere la responsabilità di questo dovere.
Tuttavia, se anche non gli fosse stato chiesto di giurare fedeltà a Yazid e non ci fosse stato alcun invito ad andare a Kufa per istituire lì un califfato rivale, egli era convinto che fosse suo dovere osservare questa tradizione [del profeta, la pace di Dio sia su di lui e sulla sua famiglia NdT], se non altro perché la corruzione stava per strangolare il mondo islamico.
Per riassumere, in ognuno dei tre aspetti della sua rivolta l’Imam (la pace di Dio sia su di lui) aveva una particolare questione da affrontare e un dovere da compiere. Per quanto riguarda il primo aspetto, era la sua decisione di rifiutare la richiesta degli umayyadi di sostenere pubblicamente la successione di Yazid al califfato. Per quanto riguarda il secondo aspetto, egli rispose positivamente all’appello dei kufani a istituire un califfato rivale a Kufa. Per quanto riguarda il terzo aspetto, egli intraprese le azioni necessarie per contrastare il gruppo corrotto che era al potere.
Egli può dunque senza dubbio essere considerato un rivoluzionario. Abbiamo definito la rivolta dell’Imam Husayn come ‘una rivolta dai diversi aspetti’ e questo carattere si manifesta con evidenza nelle posizioni che egli dovette necessariamente prendere di fronte alle tre diverse questioni. Ad esempio, il dovere dell’Imam rispetto al giurare fedeltà a Yazid era un deciso rifiuto e se avesse accettato la proposta di Ibn Abbas di scegliere un volontario esilio nelle montagne dello Yemen, questo rifiuto si sarebbe concretizzato. Quindi fu una sua decisione personale, cioè non era obbligatorio per lui, chiedere ad altri di unirsi a lui su questo punto.
Per quanto riguarda l’appello dei kufani, non aveva altra sceltache rispondere, fintanto che rimanevano fedeli alle loro parole. Se fossero venuti meno alla loro promessa, l’Imam sarebbe stato libero da ogni dovere nei loro confronti perché la questione del califfato non ci sarebbe più stata, cioè avrebbe cessaro di essere un dovere religioso.
Ma allora come mai l’Imam continuò su quella strada? Questo è indicativo del fatto che il suo obbligo religioso non era confinato al contenzioso sul califfato. L’appello dei kufani si rivelò aleatorio quando sulla via per Kufa gli giunse la notizia dell’assassinio di Muslim bin Aqeel, suo cugino ed emissario ai kufani. Un ulteriore sviluppo fu che prima del suo arrivo l’Imam incontrò al-Hurr bin Yazid ar-Riyahi, [da cui apprese che i Kufani avevano cambiato idea e non lo sostenevano più].
Così, col venir meno dell’appello dei kufani, l’Imam era libero da ogni obbligo. Per renderlo assolutamente chiaro, egli disse loro che sarebe tornato da dove era venuto, poiché era venuto in risposta al loro appello. Questo però non significa che avesse cambiato idea sul califfato di Yazid, che continuava esplicitamente a non approvare. Per quanto lo riguardava, la sua posizione di rifiuto di Yazid come califfo era irreversibile, da qui l’indisponibilità a cedere alla richiesta del gruppo al potere nonostante gli fossero state chiuse in faccia tutte le porte. Quale alternativa aveva? La risposta sta nel suo attenersi al principio di ‘sostenere ciò che giusto e proibire ciò che è sbagliato’.
Fra gli errori dell’autore del libro “Ash-Shaheedul Khalid”, c’è l’esagerazione del fattore ‘invito dei kufani’, tanto che egli dà l’impressione che sia stato questolo stimolo principale per la rivolta dell’Imam Husayn. In effetti questo fattore non fu il più importante, piuttosto fu il meno importante fra i diversi fattori che portarono alla rivolta dell’Imam. Anche assumendo che fosse la causa principaledella rivolta, l’Imam, dopo aver saputo che i kufani non avevano tenuto fede alla propria parola, avrebbe potuto rassegnarsi al fatto che non aveva senso procedere con il suo piano, prendere in considerazione l’idea di giurare fedeltà a Yazid e abbandonare l’intento di attuare il principio di ‘sostenere il bene e proibire il male’.
Accadde esattamente il contrario. I discorsi più infuocati dell’Imam sono quelli che egli tenne dopo la capitolazione di kufa agli umayyadi. In questo era chiaro il messaggio che egli agiva secondo l’obbligo di ‘sostenere il bene e proibire il male’ e che era ben consapevole che questo era il primo motivo della sua rivolta. Da parte sua questa era l’azione di un rivoluzionario contro l’ordine costituito del suo tempo.
Sulla via per l’Iraq, egli incontro per caso due uomini che venivano da Kufa. Chiese loro di fermarsi a parlare. Appena seppere che era al-Husayn (la pace di Dio sia su di lui), fecero una deviazione e sparirono per evitare di parlare con lui. Nel frattempo arrivò uno dei compagni dell’Imam che li aveva incontrari. Egli dette all’Imam la notizia dell’assassinio di Muslim bin Aqil e Hani bin Irwah, che aveva ricevuto dai due. Fu attraverso la stessa persona, sebbene indirettamente, che l’Imam seppe della capitolazione di Kufa agli umayyadi. Il suo compagno lo informò anche che i due uomini si vergognavano di dare all’Imam questa cattiva notizia e soprattutto di raccontargli che il cadavere decapitato di Muslim era stato trascinato per le vie di Kufa. Dopo aver ricevuto la notizia, gli occhi dell’Imam si riempirono di lascrime ed egli recitò questo versetto del Qur’an:
“Fra i credenti ci sono persone che hanno tenuto fede al loro patto con Dio: di queste alcune hanno onorato il loro giuramento (fino in fondo, cioè fino alla morte NdT), e alcune stanno (ancora) aspettando, ma non hanno mai minimamente cambiato (la propria convinzione)” (Qur’an 33:23)
L’Imam (la pace di Dio sia su di lui) voleva dimostrare che non era venuto soltanto per Kufa. Così non cambiava niente se quella provincia era caduta nelle mani del nemico. Non aveva lanciato il suo movimento in risposta all’appello dei kufani di per sé. L’appello era soltanto uno fra i fattori che l’avevano portato a marciare verso l’Iraq. L’Imam Husayn mise in chiaro che si considerava responsabile rispetto a un dovere più importante.
Così se Muslim bin Aqil era caduto martire, egli aveva onorato il suo patto ed era morto nel compimento del proprio dovere. Quindi l’Imam doveva continuare sulla stessa via che aveva tracciato per il proprio movimento.
Dato che l’Imam aveva deciso di assumere una posizione di attacco contro il Governo umayyade e di marciare su questa via rivoluzionaria, la sua motivazione era diversa da quella di una person in una posizione difensiva e da quella di una persona acquiescente. La posizione di una persona che respinge un attacco, ad esempio da parte di chi è venuto a derubarlo dei suoi beni, consisterebbe nel riprendersi quello che è gli stato rubato e metterlo al sicuro. La persona che vuole opporsi al suo rivale è in una situazione diversa: non accetterà niente se non l’annichilimento del nemico e il raggiungimento del proprio obiettivo, anche se per ottenerlo viene ucciso. La motivazione dell’Imam Husayn stava nell’osservare il dovere di ‘sostenere il bene e proibire il male’. Era la mentalità di un martire e questa era la via che aveva scelto di percorrere.
Chi vuole che il proprio appello raggiunga la sua comunità difende la logica del martire. Questo appello reca una firma fatta col suo sangue. Gli esempi di persone che volevano che il loro messaggio raggiungesse gli altri abbondano. In molti luoghi in tutto il mondo troviamo monumenti di personalità passate che volevano che le loro imprese fossero ricordate, tanto che alcuni di loro le hanno scritte come epitafio sulla loro lapide. Migliaia di anni dopo questi monumenti sono stati scavati dagli archeologi e messi in mostra nei musei per essere conservati come eredità per le generazioni future.
Al contrario l’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) scrisse col proprio sangue la propria epica sulle onde radio di una frequenza eterna. Il suo messaggio è impresso nel cuore della gente perché era mescolato al suo sangue, lasciandovi così un segno indelebile.
I cuori di milioni di persone, arabi e non arabi, che hanno compreso il messaggio dell’Imam, sono consapevoli della sincerità del suo messaggio, soprattutto quando egli disse: “Per me la morte è gioia e la vita all’ombra degli oppressori non è che infelicità.” Ovvero, vivere nell’umiliazione dell’accettazione dell’ingiustizia e della repressione e limitarsi a sopravvivere non è il tipo di vita che un uomo libero vuole vivere. Così il suo motto fu: “Meglio morire con onore che vivere nella vergogna” , cioè il motto dei martiri.
L’Imam Husayn (la pace di Dio sia su di lui) scelse la posizione da cui avrebbe attaccato il regime, la sua motivazione era quella di una persona che aspira al martirio. Dal terreno inospitale di Karbala’, Iraq, voleva che tutto il mondo sapesse del suo rifiuto del Governante illegittimo del suo tempo. Non aveva gli strumenti per metterlo per scritto e tuttavia il suo messaggio ha trasceso le barriere del tempo, dello spazio e fra i popoli per rimanere nel cuore e nella mente delle persone.
Come ogni anno quando viene Muharram la luce dell’Imam Husayn splende su di noi come i raggi di luce che emanano dal sole. Il suo messaggio si sente forte e chiaro: “L’inevitabilità della morte per l’uomo è come una collana che adorna il collo di una giovane donna. Io dunque agogno di riunirmi ai miei predecessori così come Yaqub agognava di riunirsi a Yussuf”. E questa affermazione abbagliante: “Il bastardo e il figlio di un bastardo non ci hanno lasciato che due opzioni: mettere mano alla spada o arrenderci. Che assurdità! L’umiliazione non fa per noi! Allah non lascerà mai che questo ci accada, né il Suo messaggero, né i credenti, i grembi casti e puri e le anime prodi. In nome di questi ideali moriremo onorevolmente piuttosto che cedere all’ignobile.”
In questo discorso c’è un riferimento a Ibn Ziyad, che aveva presentato all’Imam queste due possibilità: la spada o una resa ignominiosa.
E’ questo il messaggio che l’Imam voleva che rimanesse vivo attraverso il tempo, di generazione in generazione. Cioè, né Dio né il Suo messaggero né i credenti lascerebbero sperimentare a un devoto credente il gusto amaro della disgrazia. Le generazioni future e i credenti sarebbero venute a sapere della resistenza dell’Imam di cui nessuno avrebbe accettato la resa al nemico. Era inconcepibile che una persona come l’Imam - nobile, figlio di Fatima, la figlia del profeta - potesse cedere all’indegnità.
Quando lasciò Medina, armato del suo rifiuto di sostenere pubblicamente la successione di Yazid al califfato come ragione per il suo attacco al regime repressivo, scrisse le sue ultime volontà e le affidò a suo fratello Muhammad bin al-Hanfiyah. Fra le altre cose c’era scritto: “Io non mi sono mosso spinto dall’arroganza o dalla temerarietà o dal desiderio di seminare corruzione o ingiustizia. Tutto ciò che volevo era cercare di riformare la communità di mio nonno.” Era questa la ragione dietro il movimento dell’Imam.
Nella lettera che scrisse a suo fratello bin al-Hanafiyah, l’Imam nomina la richiesta degli umayyadi di giurare fedeltà a Yazid, ma non fa alcun riferimento all’appello dei kufani.
Questo rifiuto inequivocabile sottolineava la determinazione dell’Imam a seguire la via del martirio fino alla fine. Se il suo comportamento fosse derivato dalla volontà di difendere soltanto se stesso, sarebbe stato ragionevole che non desse ai propri compagni la scelta, la notte del dieci di Muharram, se abbandonarlo o rimanere con lui. Per tutto il tempo egli ebbe chiaro in mente e disse loro sinceramente che l’esercito di Ibn Ziyad ce l’aveva soltanto con lui, cioè o cedeva e riconosceva Yazid come califfo o sarebbe stato ucciso in battaglia. Egli considerava la sua posizione di non riconoscere il Governo di Yazid dettata dal suo senso del dovere religioso, poiché non considerava Yazid adatto a governare. E i suoi compagni scelsero, di propria spontanea volontà, di rimanere con lui fino alla fine, preferendo cadere martiri che separarsi da lui. Per questa nobile presa di posizione, l’Imam si volse al suo Signore e pregò per i suoi compagni, chiedendoGli di ricompensarli in suo nome.
Questa interpretazione è rafforzata dal fatto che quella stessa notte l’Imam chiese ad Habib bin Mudhahir al-Assadi di andare a chiedere aiuto ai membri della sua tribù. Supponiamo che Habib fosse riuscito a galvanizzare cinquanta o sessanta combattenti. Che differenza avrebbe fatto rispetto ai trentamila soldati dall’altra parte? Certamente non avrebbe fatto alcuna differenza nello spostare l’esito della battaglia a favore dell’Imam. Quindi qual era la ragione di questa richiesta?
L’Imam voleva vincere la guerra dei ‘media’ affinché la notizia della sua rivolta si spargesse più ampiamente possibile. [Un’altra ragione è che l’Imam voleva dare a più persone possibile la possibilità di combattere per lui e quindi raggiungere la più alta stazione spirituale NdT]. Questo è il modo di ragionare dei rivoluzionari e dei martiri. E’ per questo che egli dette inzio a questo movimento fra le persone a lui più vicine, portando con sé tutti i membri della propria famiglia: perché voleva che fossero messaggeri della sua rivolta.
Fonte: al-islam.org