De Profundis

di Abdullah.

Nel Nome d’Iddio Altissimo

“Dal profondo t’implorerò, mio Signore”: invocazione questa contenuta in un celeberrimo passo di uno dei canti della Bibbia, che si vuole riservato allo stato di chi sarà disceso nelle profondità della morte, oppure dell’Inferno, ed implora da Iddio Altissimo, che sia magnificato ed esaltato, la propria salvezza. Espressione questa, del resto, del tutto simile a quella ripetuta nell’invocazione della preghiera di Kumail, di Alì, la pace su di lui, vale a dire, quella di chi non cessa, sia pure nella sua estrema deiezione, d’invocare la grazia e la misericordia del soccorso divino. Sarà dunque questa, per un suo certo verso, la nostra medesima presente situazione, almeno quella comune.

Per un certo verso, lo ripetiamo, perché il suo riferimento alla comunità, non porterà certo ad escluderne possibili eccezioni, e possibili, e doverose. Sarà questo il nostro stato presente ed almeno momentaneo. Vale a dire, quello di un mondo il quale, nel suo complesso, tende in una varia misura, secondo le sue varie partizioni, a sprofondare nel precipizio della voragine tellurica ed infera. E quanto alle partizioni temporali di questo stato, sarà da osservarsi in primo luogo, che non si tratterà se non di una situazione presumibilmente estrema, che in realtà non farà se non riferirsi a tutta un succedersi di degradazioni consecutive, da un inizio assai difficilmente individuabile.

Quanto alla presente degradazione umana, e più in generale mondana, essa viene attestata invariabilmente e concordemente da tutto l’insieme di una serie di tradizioni sapienziali varie. Dell’età oscura, dell’età della distruzione, dei tempi ultimi, dei novissimi, dell’età del ferro, esiste a questo medesimo riguardo tutta una concordia di varietà e narrazioni, la quale non farà se non accennare ad un tempo ultimo, in cui l’essere umano, ed il mondo intero di conseguenza, come sopra già dicevamo, si ritroveranno del tutto inclusi ed immersi in uno stato d’inenarrabile degradazione, alla quale sarà assai difficile, se non umanamente impossibile, porre un qualche rimedio.

Ma sarà da richiedersene, a questo medesimo punto, e la partizione temporale, e la risoluzione finale, e la causa. Sarà da rilevare, quanto al primo di questi tre riguardi, il fatto che le varie tradizioni sapienziali dell’umanità saranno in generale affatto concordi quanto alla narrazione del succedersi di più età dell’uomo e del mondo, nella fattispecie di quattro età, dai tratti discordanti tra loro, ripartite a procedere, in ogni caso, da un’età iniziale luminosa dalle fattezze squisitamente divine, quella che si riferisce alla produzione creativa iniziale, dalla quale si dirigono progressivamente, attraverso vicende varie ma concordanti, alla loro ineludibile terminazione finale.

Vale a dire, procedendo le quattro età suddette, da un’età che sarà direttamente emanata, senza nessuna controparte intermediativa, anche se a prescindere da quello che verrà ad essere il succedersi generale necessario dei vari stati e livelli dell’essere universale, dall’Identità Sovraessenziale dell’Altissimo, che Egli sia magnificato ed esaltato. Questa nel senso di quell’eminenza suprema, superiore all’essere stesso, ovverosia all’esistenza, e ci riferiamo qui alle asserzioni di Plotino, quanto all’Uno superiore alle distinzioni superne ed uniche dell’intelletto, ed a Platone, vale a dire al suo sovraessere superiore all’insieme dell’ente, oppure alla “Luce su Luce” del Sacro Corano.

Ora una produzione siffatta avrà pur sempre pieno valore per l’insieme delle purità esistenziali derivate, dalla compagine nominale unica distinta dei nomi e degli attributi divini, della loro unicità. Livello quest’ultimo che verrà ad essere equiparabile a quello della trinità cristiana, il quale a null’altro potrà riferirsi, con tutte quante le sue nominazioni ripetutamente interne alle partizioni antecedenti dell’essere divino derivato, quantunque questa partizione non debba necessariamente ed arbitrariamente ridursi al numero del tre, nell’esaustione conforme della Volontà Divina Suprema inconculcabile, la quale verrà ad accettare anche ulteriori contenimenti derivativi.

Quindi per quelle ulteriori purità derivate distinte e limitate, questo nel senso di una partizione del loro essere che ne venga a limitare l’universalità riducendola a sola generalità nominale, sino a precipitare da ultimo su quel fomento liminale di dissoluzione il quale le ripartisce ulteriormente, questo nel senso di una generalità ulteriormente divisa, vale a dire, la cosiddetta individualità, almeno quanto a noi, quanto al nostro stato presente, a prescindere dalle sue ulteriorità riduttive, venendo ad essere sospesa sul limitare della successiva dissoluzione assoluta, con tutta quanta la sua incoazione, e con sua successiva premessa regressiva, vale a dire, i mondi tellurici ed inferi.

Limitare il quale peraltro a sua volta si ripartisce internamente, quanto al suo affissarsi a quella sua limitazione individuante, a stabilire la sua riduzione, nel senso della successione, alla cosiddetta materia, o più correttamente, alla materia prima, la quale non sussisterà per parte sua nella sua insussistente liminalità, ma nella sua annessione all’antecedente, non come un che di dato. Ora dunque, al di sopra di tutto questo, per le purità formali, una condizione di sola adiacenza al nulla che non nullifica, mentre andando oltre al di sotto, una nullificazione progressiva, che procederà, al di sotto di quella sua inconsistenza liminale, alla sua successiva incoazione e consumazione.

Al di sopra ed al di sotto di tutto questo, secondo i termini comunemente invalsi, quantunque essi non sempre siano sempre usitati, si avrà una sussistenza sottile, od anche immaginale, in altri termini, mercé della sua assimilabilità alle nostre rappresentazioni mentali, adiacente ad una liminarità materiale, scevra peraltro, al livello delle sue definizioni formali, da quella materialità per essa comunemente invalsa, dalla quale si andrà mano a mano ritraendo nei due sensi. Sarà peraltro da osservarsi che questa medesima materialità, nell’uno e nell’altro senso, in quello superiore ed in quello inferiore dell’assunzione sottile, od immaginale, sarà assai difficilmente definibile.

Le produzioni immaginali tenderanno in ogni caso, per parte loro, ad un limitare, vale a dire, tenderanno ad una loro connotazione liminale, ma senza che quest’ultima abbia per parte sua a definirsi in una qualche corporeità invalsa, tanto da proporsi in quanto tale esclusivamente. Il fatto sarà, che noi siamo come gli aggregati, nel nostro tentativo di definizione, di molteplici livelli definitivi, con la loro rispettiva corporeità non percepita, ma senza che nessuno di questi abbia a proporsi come quello conclusivo, ma potendosene definire un singolo insieme siccome quello individuante definitivo, venendo peraltro ad essere appunto questo insieme l’oggetto delle nostre ulteriori definizioni.

Dicevamo dunque che, al di là delle generalità pure formali, e delle loro universalità comprensive, si verrà ad avere un successivo degradarsi esistenziale individuo, dissolutivo delle partizioni esistenziali che procedono dall’unicità distintiva superiore. Avendo queste distinzioni a procedere necessariamente da un livello d’immediatezza produttiva, e di pienezza esistenziale, il quale non abbia ad essere quello delle mediazioni delle formalità pure superiori, includendo per ogni sua distinzione tutto l’insieme di quelle formalità nominali, le quali verranno a distinguere la totalità comprensiva dell’inclusione complessiva e comprensiva dell’Essere Supremo.

Non faremo per adesso qui riferimento a quell’inferiorità ulteriore dissolutiva, la quale verrà ad apprendersi, senza nessun contatto comecchessia rilevabile, alla suddetta liminarità individuante corporale. questo nel senso dell’assunzione liminale della materia. La quale verrà ad essere definita, di al di là di quel suddetto livello liminale, da una comunanza insuscettibile d’astrazione, ma la quale verrà ad essere pur sempre sussistente in un senso composito, questo nel senso d’avere una sua consistenza rilevabile, ma senza che possa essere comecchessia stabilita separatamente, comunanza che verrà ad essere quella inferiore dell’essere indeterminato.

Al di sotto di questa, nella sua comunanza comprensiva, si verrà ad avere solamente il dominio della dissoluzione pura comprendendone essa i gradi vari dell’incoazione. Dunque quello che possiamo considerare siccome questo nostro basso mondo corporeo, oppure anche materiale, nel senso suddetto, comune e volgare, della materia, verrà ad avere una sua iniziale processione derivativa immediata dai livelli superiori dell’essere. Andrà peraltro qui rilevato, come sia che una processione siffatta debba comportare, in questo nostro basso modo della corporeità, a differenza di quello che avverrà per il mondo della purità formale superiore, un suo succedersi.

Vale a dire, che le singole determinatezze individue, affissate che si siano al livello liminale insussistente anteriore al procedere della successione dissolutiva, si propongono, e si antepongono, e si pospongono, conformemente a quello che ne verrà ad essere di volta in volta il costituirsi. Questo verrà a significare dunque, il fatto che l’essere sarà e non sarà, non solamente quanto alla sua singola determinatezza esistenziale, ma anche quanto al proporsi dell’essere dell’essere stesso, l’essere che è esso stesso, tanto che quest’ultimo, non necessariamente venendo ad essere quello che esso è, ne darà luogo ad un peculiare succedersi, vale a dire, al succedersi temporale.

La qual cosa non avverrà certamente per le anteriorità formali semplici, vale a dire, per il mondo delle determinate fisse, scevre che esse siano da una qualche loro inferiore individuazione, dato che l’affissarsene determinativo sia stabilito una volta per tutte. Né tantomeno questo avverrà per quelle determinatezze superne subessenziali, nella loro unicità comprensiva distintamente di un insieme completo di determinabilità fisse generali, quelle nominale ed attributive, con le loro successive individuazioni, e neppure la cosa avverrà per il mondo finale infero di una completa dissoluzione involvente solamente il negarsene della determinatezza dissolta, senza null’altro.

Ma verrà ad avvenire invece, per le ragioni suddette, quanto all’incoazione dissolutiva subliminale dei mondi sottili inferiori, se in questo caso, come anche nel caso superiore alla determinatezza del sostrato liminale individuante, l’essere s’andrà pur sempre ad affissare ad un qualcosa suscettibile di separazione ed annichilazione. Dunque si verrà ad avere una successione esistenziale, vale a dire, un tempo, sia nelle singole individuazioni, sia nel singolo insieme del singolo mondo individuo d’individuazioni. Dunque l’essere, nel suo complesso, procede all’inizio del succedersi dai mondi superiori, e dall’Identità Suprema, nel migliore dei mondi.

Vale a dire, ponendosi al culmine delle sue possibilità attuative esistenziali, tanto da non scostarsi di un minimo da quella la quale ne sarà la determinatezza esistenziale individua, ed in un tempo che procede da un’identità sì finita, ma tale da estendersene alla comprensione che, per il nostro modo di vedere, per la nostra loquela, o per il nostro concetto, non sarà suscettibile di una concezione adeguata, seppur avendosene delle possibili comprensioni di livello inferiore. Sarà dunque questo il tempo iniziale di quell’età aurea, definito sì, e pure istantaneo, ma di un’istantaneità comprensiva di un intero mondo, superiore a questo nostro basso mondo presente.

Sarà quello il mondo di Adamo, la pace sudi lui, in sé brevissimo, ma di una brevità la quale verrà ad includere l’esistenza. Sennonché questa medesima istantaneità verrà ad essere pur sempre temporale, vale a dire finita, seppure nella sua inconcepibilità quanto a noi uomini comuni, non radicati nella conoscenza dell’essere, nel senso che verrà a dare luogo a tutta una successione d’istanti successivi, a mano a mano degradata quanto ad una loro anteriore inclusione esistenziale perfettiva. Sarà quello il mondo della giustizia originale, ma nel quale la sottomissione delle potenze dell’essere secondo il grado di superiorità si andrà a poco a poco degradando dalla sottomissione iniziale.

Sarà questo dunque un degradarsi per noi affatto inconcepibile, vale a dire, per noi uomini comuni, nella nostra bassezza di comprensione, dato che un succedersi d’istanti, e di livelli perfettivi, includa per principio un indefinito succedersi. Indefinito duplicemente, in linea di massima, e quanto al suo principio, e quanto al suo termine, ma senza che tutto questo ne debba compromettere in un qualche modo lo svolgersi, non compreso che esso sia quanto a noi, nella miseria della nostra percezione volgare, scevra dalla conoscenza, non radicati che si sia nell’essere dell’essere, quanto al suo succedersi in un tal senso duplice, nel verso del principio, ed in quello del suo terminarsi.

L’istante verrà a succedere dunque sì all’istante, ma senza che tutto questo abbia a dare luogo a nessuna inconsistenza, vale a dire, senza che due partizioni successive abbiano a risolversi nella continuità indistinta di un qualche succedersi. Ma proponendosi invece in una momentaneità affatto sussistente, seppure non percepita quanto a noi uomini comuni, nella nostra ignoranza ed incomprensione, vale a dire, che sarà tale da darsi in un insieme di perfezioni successive, che non riusciremo a concepire nella loro consistenza, ma delle quali riusciremo invece ad intendere i due estremi, quello iniziale, e quello finale, che saranno dunque i limiti di quella prima età.

Sarà dunque questa la creazione del mondo, o meglio, di un mondo, dal suo inizio, al suo termine, entrambi perfettivi, ma essendo il termine a suo modo pur sempre in una qualche sua misura imperfetto quanto all’inizio, se non quanto a noi, ed all’Iniziante, anche se non in sé stesso, e quanto suo al proporsi nei confronti delle partizioni successive. Partizioni successive le quali verranno ad avere inizio da una cesura, questa volta una cesura che definisce lo scindersi imperfettivo di un che non più radicato nelle immediate mediazioni del suo Principio. Il fatto sarà, che prima il radicamento procederà dall’immediatezza superiore procedente dal suo Principio.

Nel mentre adesso si avrà invece a che vedere con una mediazione, la mediazione ulteriore del succedersene degli stati iniziali, vale a dire, delle età successive. I quali stati, nella loro successiva e progressiva debilitazione perfettiva, vale a dire, nella loro diminuzione, e nel loro indebolimento esistenziale, andranno a definire un ulteriore stato che a loro si riferisce, nel loro complesso, e questo in un primo modo, che avrà a che vedere con individuazione materiale fatta perspicua, nel senso che la liminarità, avulsa e celata in una formazione che non ne consentiva la perspicuità, adesso si darà invece di per sé stessa, sia pure senza ancora mai venire a sussistere di per sé stessa.

Questo nel senso che proporrà una partizione parzialmente risolutiva delle varie formalità, la quale non ne consentirà più il proporsi siccome totalità individuata celante, ma invece rinvierà ad una loro risoluzione subordinata, la quale prima era invece da ricondursi ad una definizione, la quale ne poteva celare il risolversi. Comincerà dunque qui il secondo di momenti, la seconda delle ere od età del mondo, o piuttosto, cominceranno qui vari secondi momenti, vale a dire, le successive tre età del mondo. Dove la successione non sarà in ogni caso causativa, come verrà ed essere invece per i livelli dell’essere, ma verrà ad essere invece di riferimenti sussistenti non causanti.

Verrà questa ad essere l’età seconda, l’età che già venne detta dell’argento dagli antichi, quella della luce riflessa lunare, vale a dire quella di un’inferiore perspicuità formale, di una minore luminosità della compagine, e delle individuazioni formali, che sarà risolutiva sì, ma solamente in una certa misura, e non certo del tutto, della luce previa della produzione iniziale La quale farà sì che qui si debba incominciare ad intravedere quel difetto, nella perspicuità della comprensione umana, il quale dapprima, seppure sussistendo, veniva invece del tutto celato nella successione della definizione individua della corporeità, elemento per elemento, e nel suo complesso.

Ora quello che sarà in primo luogo qui da rilevarsi a questo medesimo proposito, essendo di sommo momento, sarà il fatto di una progressiva e successione e dilatazione del tempo, o meglio, dei vari tempi successivi. Il tempo veniva ed essere, nella precedente successione dell’età previa, ampiamente e lungamente comprensivo, questo avendosi in apparenza indefinita quanto a noi, vale a dire, quanto al nostro modesto percepire, essendo in questo senso dilatato, anche nella sua stessa identità istantanea, od anche, di converso, venendo a contrarre in sé una durata pressocché indefinita quanto al nostro modo di vedere, nei due sensi, e istantaneo e comprensivo.

Di converso, nel procedere successivo dell’età dell’argento, la comprensione del tempo verrà ad essere esistenzialmente contratta, espandendosi nel frattempo a tutto un insieme di definizioni successive, la quali compendierà in sé, nella sua completezza. Si dovrà pertanto affermare, a questo medesimo riguardo, che il tempo esistenzialmente dilatato si verrà anche a contrarre, tanto da potere stabilire, quanto a noi, vale a dire, quanto alla nostra percezione mondana, il contrapporsi di una maggiore e di una minore durata temporale, quanto alle due serie successive suddette, le quali verranno a fare da controparte alle suddette dilatazioni e contrazioni esistenziali.

Sotto questo medesimo riguardo, l’età dell’oro degli antichi, vale a dire, l’età solare ed adamica della luce divina, ci sembrerà provvista e qualificata da una durata pressocché indefinita, sempre quanto al nostro modo di vedere imperfetto e volgare, nel mentre invece per la seconda età, per quella della luce lunare dell’argento, sia pure nella sua durata ancora diuturna, ce la sentiremo invece di affermare di avvertire una qualche contrazione. La contrazione dell’argento, della luna, la faranno differire, sotto questo medesimo riguardo, dalla luce solare primigenia, di modo che ce la sentiremo, in questo modo, di avvertire l’emergere di una qualche perspicuità liminale.

Ora questa medesima perspicuità si andrà amano a mano accentuando sempre di più, sino a quello che verrà ad essere il limitare successivo, venendo dunque ad apparircene il tempo siccome quello di successive partizioni definite, a differenza di quello che invece avveniva per la comprensione insussistente e sussistente, risolta e risolutiva, che contraddistingueva di converso la prima età solare dell’oro. Sarà questo dunque lo stabilirsi di una differenza di modalità del tempo, vale a dire, il suo inizio, il proporsi di un tempo istantaneo ma pervadente, e quello invece di comprensioni non assolute, che daranno luogo ad un succedersi non più includente.

Vale a dire, che daranno luogo al succedersi di un tempo il quale si verrà a definire istante per istante, essere per essere, senza includere in sé una qualche prospettiva di definitezza indefinita. Il tempo dell’argento dunque, nel fare perspicua quella liminarità che l’età precedente risolveva nei suoi seni ed occultava, darà luogo ad un primo moto d’istantaneità non comprensiva, vale a dire, darà luogo ad un contrarsi del tempo dilatato dalla sua estrinsecazione liminale inferiore, tanto che, a questo medesimo riguardo, ed in questo medesimo modo, la sua durata verrà ad essere inferiore, nel senso di non comprendere quella sua previa finitezza, indefinita.

Il tempo dunque comincerà così mano a mano a contrarsi. Questa sua successiva contrazione avverrà al limitare di un estremo non percepibile quanto a noi, ma percepibile invece quanto a quella conoscenza la quale si termini nella superiorità dei superiori livelli anteriori dell’essere radicandovisi. Sarà così dunque che il tempo andrà, di successiva in successiva sua perspicuità, di per sé stesso, sino al punto da porsi al di là di un estremo, di un ulteriore inizio questa volta perspicuo, di per sé stesso, se non quanto a noi, quanto al quale si verrà ad avere invece una perspicuità liminale completa, la quale si trarrà da quanto la precedeva in termini esistenziali.

Non che quest’ultima venga ad assumere per parte sua quella sussistenza la quale giammai potrà venire ad avere in un modo qualsivoglia, ma facendosi visibile siccome compiutezza di un accadere, nel senso di farsi adiacente, nella sua stessa liminalità, farsi adiacente a quella formalità individua anch’essa insussistente di per sé stessa. Tanto che entrambi questi due termini, a questa medesima stregua, verranno a proporsi inseparabilmente, vale a dire, che verranno a proporsi in quella loro inseparabilità perspicua propria dell’età del bronzo, oppure anche diversamente del rame, la terza dunque delle tre successive età del mondo che ci siamo proposti d’esaminare.

Vale a dire, che si verrà ad avere qui una luce ancora più attenuata rispetto alle luci precedenti, la quale verrà dunque a ridurre ancor di più la prospettiva della pura formalità discendente nella sua individuazione dalle forme superiori. Tanto da farla apparire come un insieme di sussistenze ulteriormente attenuate e debilitate, secondo una delle maniere della debilitazione dell’essere, vale a dire, in un tempo ancora più contratto, meno comprensivo, nella sua ulteriore debilitazione esistenziale, ma il quale pure si verrà ancora ad estendere a tutto quanto un insieme di un indefinito apparente quanto a noi, nel quale si verrà a sceverare la sua debilitazione esistenziale, la quale procederà in questo modo ad un suo ulteriore livello temporale.

L’età del bronzo, o del rame, verrà ad essere la prima a realizzare compiutamente la perspicuità liminale dell’individuazione, contraendo ulteriormente il prodursi del tempo iniziale, quantunque lo venga a fare apparire, quanto a noi, in un’indefinitezza d’insussistenti sussistenze individue. Sarà questa l’ultima perspicuità di per sé stessa della formalità individuata quanto alla sua purezza, in una certa misura ancora, dopo di che, si avrà la contrazione esistenziale estrema dell’opacità del ferro, e della sua età, vale a dire, dell’età ultima del mondo, di quella della distruzione, che sarà la nostra era, quella del tempo nel quale noi al presente ci ritroviamo a vivere.

Nella quale età ultima verrà la formalità verrà ad occultarsi, anche senza che abbia a procedere ad una qualche dissoluzione, incoata o no che essa sia, in un tempo ridotto di un essere ridotto, ma d’apparente indefinitezza individua, sempre quanto a noi. La quale ci si verrà a palesare all’occultarsi di un precedente vessillifero inferiore della trascendenza, il quale, nel dilatarsi delle sue individuazioni formali perspicue, di quelle ultime suddette, lascerà andare dal suo governo il succedersi dell’occultazione loro ultima sussistente, tanto da dare luogo, in questo medesimo modo, ad una successione ulteriore di messaggi trascendenti non effettivi, ma umanamente elativi.

Ma bisognerà bene intendersi a questo medesimo riguardo. Il Messaggero trascendente ulteriore andrà sì a proporsi ancora in tutto quanto il vigore della sua trascendenza, in tutta la sua dominazione divina comprensiva, la quale però, per la volontà divina, e per sua volontà, che sarà quella divina, non eserciterà effettualmente. Massimo sarà però il suo potere quanto all’emendazione di un mondo, del nostro mondo, e di un uomo ridottovi mano a mano ai suoi minimi termini, quantunque la sua non sia una perspicuità effettiva, concernente un dato di fatto, ma sarà invece un adito di sommo momento alla trascendenza, al cospetto della sua negazione velleitaria ed apparente.

Tutto questo sino alla fine, sino all’ultimo erede e detentore, non promulgatore del messaggio, al Sigillo dell’eredità della promulgazione, che compirà in sé attuandola questa medesima potenza d’inversione e rettificazione dall’estremo debilitativo. Senza che s’abbia in precedenza vigore di dominio se non quanto ad una circoscrizione limitata del mondo, per Davide, e Salomone, e Muhammad, la pace su di loro due. Od anche quanto ad un insieme di particolarità, nel senso dei singoli miracoli, come avvenne per Gesù, la pace di lui. Senza che questa prerogativa d’avvalersi del miracolo sia negata ad altri, come per Elia ed Eliseo, e per lo stesso Salomone, la pace su di loro.

Vi sarà a questa medesima stregua una differenza di sommo momento tra le Leggi precedenti, e quella di questi nostri tempi ultimi. Nel senso che se prima la norma del mondo e dell’uomo veniva dalla realizzazione della giustizia originale adamica di cui sopra, senza che l’eventuale violazione provenisse se non dal di fuori, come avvenne per Caino, e per gli altri, ora invece la debilitazione progressiva dell’esistenza darà luogo ad imperfezioni all’interno stesso della compagine perfettiva umana, questo a procedere dal tempo di Noè, la pace su di lui, il che sarà motivo di tutta la maggiore perfezione delle leggi successive, in ragione del loro più ampio raggio d’azione.

L’iniquità si trovava all’inizio in mondi diversi, vale a dire, a differenti livelli dell’essere, i livelli inferiori. Dopo di che addivenne alle terre dell’affiorare infero, differenti da quelle della formalità perspicua loro contrapposta. Poi venne alle persone differenti, per pietà ed empietà, del costituirsene perspicuo, anche se non sussistente. Alla fine si venne alla medesima persona, nel suo costituirsi individuo suddetto nella sua proiezione dell’inferiorità esistenziale. Il che darà ragione della perfezione emendativi ed elativa di cui sopra. Il fatto sarà peraltro da ricondursi sempre a quelle medesime cause iniziali, delle quali già dicevamo in precedenza, senz’altro per cui.

L’Unità Divina dunque procederà di livello in livello, prima alla perfezione distintiva unica superna, il livello dei nomi e degli attributi, da quello che sarà lo Stato Supremo, quindi di adiacenza non inclusiva al non essere, con le sue determinatezze fisse in purità formale, quindi di adesione liminale al medesimo, per tutta una serie di livelli successivi, sino al livello definitivo corporeo, tanto da precipitare alla fine nei livelli incoativi e finali della dissoluzione nullificante tellurica ed infera. E non ci si venga qui ad obiettare, a questo medesimo riguardo, di lesione del principio della Volontà divina inconculcabile, per la quale Le verrebbe imposta una norma imprescindibile.

Il fatto sarà, che la Volontà Divina non potrà per nulla volere il non essere di per sé stesso. Di modo che, dato che Essa le voglia, tutte quante le Sue produzioni saranno sottoposte a tutta una serie di leggi, vale a dire che, in definitiva, saranno sottoposte ad una legge, la violazione della quale non porterebbe se non al non essere puro e semplice. Sarà per questo, che essa vorrà il mondo solo e soltanto in questo modo, e non in un altro. La qual cosa varrà anche per il dominio morale umano. Sarà dunque per questo che le sue produzioni saranno sottoposte a quelle leggi, da Lei solamente volute, non ad altre, leggi di derivazione, e di distinzione, e di subordinazione successiva.

Ora voluto che Egli abbia il mondo come lo ha voluto, in tutta conformità alla Sua Onnipotenza omnipervasiva e Volontà inconculcabile, senza che debba volerlo altrimenti, Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, l’Uno Supremo inattingibile, verrà a procedere necessariamente, per la necessità stessa della Sua Volontà inconculcabile, alla suddetta successione di sussistenze e di risoluzioni subordinate. Il fatto sarà, che quelle medesime risoluzioni le quali saranno da Lui prodotte, andranno a proporsi a loro volta siccome un qualche cosa di a sua volta produttivo, sempre nella loro creazione divina. Ma bisognerà a questo stesso punto che ci s’intenda assai bene.

La qual cosa verrà a significare, che i livelli dissolutivi dell’essere non verranno ad essere se non un’imitazione in sé di quelli superiori ed attuativi, tanto da ravvisarne in sé la medesima produzione, vale a dire, la causalità seconda, che essi verranno dunque a riproporre in sé in una loro maniera sì adulterata e debilitata, ma la quale verrà ad essere pur sempre a suo modo valida. Tutto questo verrà a significare che, al di sopra della dissoluzione assoluta, sino ai suoi livelli ed antecedenti ed incoati dell’esistenza inferiore ridotta, si verrà a proporre tutta una serie di causalità ulteriori riduttive, le quali verranno ad essere riduttive sì, ma pur sempre efficaci, quantunque a loro modo.

Causalità le quali verranno ad essere riduttive, in primo luogo quanto alla loro consistenza esistenziale debilitata, in secondo luogo, come conseguenza, quanto alla loro forza produttiva, e questo non nel senso di un’efficienza reale residua, ma invece in quello di un rapporto di debilitazione il quale verrà a proceder dal superiore all’inferiore. E qui ancora sarà meglio intendersi bene. In un senso proprio, la causa dovrà essere sempre intesa quanto a livelli dell’essere differenti, e non quanto invece ad un medesimo livello, come sarà ad essere il caso per le varie corporeità contrapposte ed adiacenti, in un tal senso malamente intese nella presente concezione volgare.

Questo nel senso che l’efficienza, vale a dire quella esistenziale, e solamente quella, andrà intesa quanto ad un inferiore, e ad un superiore dal quale abbia a procedere, non nel senso, come avviene quando la s’intenda volgarmente, dell’esteriorità di un medesimo singolo livello. Il fatto sarà che, quanto ad un singolo livello, ed alle sue pretese adduzioni causative, in un senso o nell’altro, queste ultime avranno luogo solamente a procedere da un livello causale superiore, il quale le addurrà ad una duplicazione, ma senza che quest’ultima ne venga ad avere l’esclusiva, anzi avendosi tutto il contrario vale a dire, la duplicazione causativa rimandando solo e soltanto alla superiore.

Sarà dunque l’essere superiore, e questo sempre in quanto mediazione, a procedere dall’Unità Suprema, e dai livelli superiori, che addiverrà a produrre una successione esistenziale, nei livelli della quale l’uno verrà ad addurre all’altro il suo evento, ma senza che il primo abbia ad averselo per proprio, ma producendolo a procedere dall’antecedente esistenziale, da ultimo dall’Uno Supremo sovraesistenziale. Tutto questo avendosi sempre a dispetto delle varie aberrazioni moderne c contemporanee, con le loro pretese vane, che lasciano il tempo che trovano, fondate su di una incomprensione completa della natura e della struttura dell’essere, con tutti i suoi livelli.

Sarà dunque in questo senso che avremo la causalità in senso proprio, non in quello spurio giustamente rifiutato da taluni sapienti, laddove non la si voglia avere avulsa da una d’ordine inferiore, nel senso di una produzione esaustiva la quale venga a procedere dall’essere, non da una qualche corporeità o sussistenza. Venendo a palesarsi in tutta la sua vacuità la pretesa anche banale di un colpo corporeo che venga a produrre casualmente un movimento spaziale, tanto da deflettere un corpo da suo moto uniforme, oppure dal suo stato di quiete. Essendo il sonno dell’intelletto presenziale, non certo della ragione argomentativa, a produrre siffatte aberrazioni, nella loro inconsistenza.

E si moti bene, come sarà, che un siffatto procedere venga ad essere in definitiva a sua volta solamente dall’Unità Suprema d’Iddio Altissimo, ne siano esaltati i Nomi, da cui il procedere esistenziale assume un riguardo riduttivo sotto il rispetto dei previi successivi livelli dell’essere, ma nel senso di una produzione propria, strettamente in quel senso stesso, similmente a quanto avveniva per le cause seconde di pari livello, subordinate ad un livello superiore dell’essere. Ora tutto questo, vale a dire questa irradiazione e causazione varie, verranno per parte loro a rovesciarsi quanto al modo della dissoluzione e incoata, e compiuta, accennando ad una inversa terminazione.

Tutto questo, non certamente nel significato di una qualche causazione in senso proprio, ma invece in quello di un non essere il quale, procedendo dal nulla puro, a quest’ultimo si verrà a riportare, senza che esso sia, vale a dire, senza essere causato, perché non è, senza che s’abbia a dire che il nulla abbia ad essere comecchessia. Ma nel senso invece d’aversi successivamente senza essere affatto, anzi più correttamente, di non aversi per gradi, nel succedersi di un procedere dissolutivo, che avrà il suo cominciamento in questo stesso nostro basso mondo corporeo dell’individuazione liminale, appunto in quanto cominciamento delle vie della dissoluzione infera e tellurica.

L’essere procederà dunque successivamente a non essere, di grado in grado, senza che al livello delle formalità pure, delle determinatezze fisse, la sua connessione abbia a concernerlo se non in una maniera meramente esteriore, senza che abbia a dargli comecchessia una propria sussistenza. Di modo che questa medesima limitazione produttiva successiva verrà a coinvolgere, a procedere dal livello liminale suddetto, tutta una sequela di sottigliezze inferiori, quindi di ulteriorità subformali d’ordine inferiore, quanto ad una siffatta individuazione inferiore, sino al livello dissolutivo, quello puro, e quello composto di una negazione dalla quale non possa fare a meno di prescindere.

Vale a dire, procedendosi ad una priorità scevra d’esistenza, la quale si verrà ad affissare ad un qualcosa di semplicemente negato, senza nessuna sua ulteriorità esistenziale, quindi ancora addivenendosi, in una suddetta riproduzione, ad un’unicità di negati semplicemente complessivi, senza più nessun oggetto sussistente di negazione, donde si verrà a procedere alla fine alla semplicità estrema del nulla puro, non più secondo un qualche riguardo, anch’esso scevro da determinazioni. Tutta questa sarà anche, eccezion fatta per l’ultimo estremo livello della dissoluzione pura, il quale non verrà ad avere nessun luogo, produzione divina, vale a dire che sarà produzione Sua estrema.

Produzione la quale, procedendo alla sua successiva debilitazione, verrà a produrre, per parte sua, i vari gradi del nulla, come fossero prodotti dalla loro posterità, resa che essa sia anteriore. Il fatto sarà, che queste medesime posteriorità verranno ad avere una loro efficacia apparente, se non quanto a mondo della purità dissolutiva e della sua negazione, quanto al dominio antecedente delle individualità liminali, e dei loro antecedenti inferi e tellurici, a procedere da quello che se ne abbia a proporre siccome il limitare, come l’intermediazione dei livelli frapposti, inferiori e superiori, per difficoltosa che possa venire ad essere la sua definizione percettiva quanto a noi.

Di modo che, quanto ad un siffatto mondo invertito, la dissoluzione mano a mano sempre più pura verrà a riprodurre, ogni suo grado per ogni suo grado, l’efficienza produttiva di mondi superiori, nel senso che essa tenderà a togliere per mera inversione alla sua anteriorità esistenziale la sua determinazione d’essere, nel significato della debilitazione dissolutiva. Come sarà che tutto questo possa mai avvenire, verrà ad essere comprensibile, quando si venga ad intendere, come sarà che quelle ulteriorità dissolutive verranno ad avere pur sempre una loro efficienza in senso diviso, la quale verrà a contrapporsene all’efficienza propria esistenziale.

Tutto questo sarà dunque un mondo di spettri, un dominio di larve esangui, il quale tenderà ad attrarre a sé stesso, per via di quel residuo d’efficienza invertita che gli compete, tutto un insieme dei mondi superiori dell’esistenza, in una misura maggiore e minore. Ora sarà da rilevarsi che un’efficienza siffatta, per taluni degli esseri anteriori, se ne andrà ad investirli sostanzialmente, fattine scevri quelli i quali avranno una derivazione centrale da centri superiori, di volta in volta, tale per parte loro da comprendere l’essere del singolo livello d’esistenza, il loro, senza nessuna eccezione la quale abbia a compromettere la loro compiutezza di derivazione.

Un’efficienza siffatta coinvolgerà invece tutta quanta una serie di esseri marginali, questo in un senso tale da venire ad investirli sostanzialmente, vale a dire, tanto da affissarsene alla definitezza, vale a dire, tanto da venire a renderla perspicua quanto ad una siffatta derivazione invertita quanto a quella fondamentale. La qual cosa avverrà persino a procedere da quella prima luminosa età aurea, dove un qualcosa di non risolto nella corretta derivazione esistenziale andrà pur sempre a proporsi, ma in un senso estremamente ridotto, come un resto formale non negato, in ragione di quella liminarità la quale verrà a debilitare la purezza formale dell’antecedenza esistenziale.

Sarà proprio in questo stesso modo che, se l’essere sarà senza non essere, dato che alcunché non sia, l’essere stesso verrà progressivamente a ridursi al cospetto di questo non essere manifestato a suo modo, vale a dire, non assoluto, che gliene toglierà il diritto, ovverosia il diritto di essere e basta, senz’altro. Perché il non essere non è, e basta, per suo diritto, senz’altro. Tanto che una lievissima, una minima espansione verrà ad incominciare ad avere pur sempre luogo persino in quella prima, originale indeterminatezza temporale dilatativa di quell’età luminosa, sino al limitare estremo di questa medesima era, sino alla sua consumazione, della quale avevamo già detto in precedenza.

Quindi le determinazioni successive, per le quali il non essere prima si staglia, quindi si propone nell’adiacenza, per proporsi poi alla fine siccome la risoluzione di un qualcosa di non completamente risolto, pur sempre sussistente. Il che verrà a significare che, in definitiva, in corrispondenza di una siffatta variazione configurativa, nel mentre l’irradiazione della formalità pura andrà a debilitarsi successivamente, avverrà anche che quel primo resto tenderà a prendersi sempre di più una sua parte progressivamente maggiore, vale a dire, che tenderà mano a mano ad imporsi, seppure velleitariamente, al mondo a lui contrapposto dell’essere relativo derivato.

Nel senso che il riflesso del nulla tenderà ad espandersi sempre di più, sino ad assumere, in questa età di tenebra e distruzione, ultima di questo nostro basso mondo, una perspicuità dapprima affatto inusitata, del resto inconcepibile se non relativamente. Da un minimo dunque, sino ad un massimo del non essere, ma senza che nondimeno questo suo espandersi perspicuo abbia modo, alla fine, di avere ragione di quel resto dell’essere che, restando a testimoniare dell’irradiazione principale dell’Identità Suprema, gli verrà ad essere fatale, nel senso di tornare ad imporre il suo supremo diritto, vale a dire, il diritto di essere, senza che nessun altro sia oltre a lui.

Ma adesso, si avrà che questo medesimo procedere del nulla da un minimo ad un massimo, che enuclea il restringersi successivo dell’essere di singola età in singola età, non sarà affatto lineare, ma piuttosto avverrà per successivi circoli interni al suo tempo comprensivo. Questo nel senso di quei celebri corsi e ricorsi, perspicui in particolare per la nostra età finale di tenebra. L’essere non sarà così più essere, il che lo contrarrà al cospetto di un nulla progressivamente avanzante, ma avvenendo questo per successive partizioni, che individueranno successivamente dei massimi e dei minimi relativi per ciascuno di quei loro singoli tempi, oppure età subordinate progressive.

La qual cosa verrà dunque a valere e ad avvenire per ciascuna delle quattro successive partizioni della suddetta temporalità, dato che un minimo relativo, non assoluto, non potrà esimersi dal contrapporsi al ritorno di un essere trionfante, sub condizione, di successivo ricorso in successivo ricorso, i quali verranno a procedere prima agli estremi successivi di ciascuno dei quattro, e quindi al loro termine, ovverosia alla flessione dell’essere la quale verrà a dare luogo alla luce della nuova età dell’oro, vale a dire, alla nuova compiutezza esistenziale. Ma sarà alla fine di tutto questo, avvenendo tutto questo in un lasso temporale assai limitato, tendente all’istantaneità, che dovranno accadere gli eventi più significativi dell’età di questo nostro mondo.

Alla fine, ci verremo a ritrovare in una situazione assai speciale, il che sarà dire, che ci verremo a ritrovare davanti a due fatti complementari, di successiva concomitanza, Il primo di questi due, sarà dovuto al proporsi estremo di quella velleitaria, e pure a suo modo reale, causalità invertita, la quale non farà se non riportare e ridurre esclusivamente al falso principio dell’assoluta risoluzione la causalità divina, nel senso di prendere quello per primo, per derivarne quindi casualmente quelle medesime inversioni delle quali avevamo già detto in precedenza, senza che queste debbano, per parte loro, proporsi invece siccome una mera mediazione, la quale abbia a riportare correttamente alla fine pur sempre all’unica causalità divina suprema.

Inversioni le quali alla fine tenteranno di erompere al nostro medesimo basso livello d’esistenza corporeo e liminale, nel senso d’assumerne completamente il dominio, questo in primo luogo, ed in secondo luogo, facendovi emergere quella causalità invertita della quale avevamo già detto in precedenza, sempre a questo nostro livello d’esistenza, non nel significato di volere rinviare ad una qualche superiore formalità, ma in quello invece di riportavi, a quelle dissoluzioni, questa formalità medesima. Sarà dunque questo, così come esso viene ad essere di fatto, il nostro mondo invertito della fine dei tempi, o piuttosto, della fine di un tempo, se in quest’ultimo vorremo venire a comprendere tutto l’insieme delle quattro età successive di volta in volta.

Età le quali si verranno a proporre in una loro unità ed univocità, per anteporsi al loro succedaneo, vale a dire, in quella successione la quale si concluderà nell’assunzione terminale perfettiva dell’Unità Suprema dell’essere, nella dissoluzione di quelle forme terminali dissolte, la quali in quest’Unità non avranno mai luogo comecchessia, o che piuttosto, verranno a dare luogo al loro principio, senza nessun rimasuglio degradato che abbia a distorcerle comecchessia. Verrà ad essere dunque quello il Giudizio Maggiore finale, successivo a quelli minori, vale a dire, il luogo ed il tempo della completa reintegrazione, e della dissoluzione completa nelle tenebre esterne delle indegnità, e delle imperfezioni, e delle loro inversioni e effettuali e causali.

Ma per le successioni precedenti, di ciascuna delle quattro età, in ciascuna quattro età, avremo di volta in volta un ristabilimento esistenziale al nostro medesimo livello d’esistenza, il quale vi si effulgerà, ma lasciandovi pur sempre permanere un resto d’empietà ed imperfezione, il quale verrà ad essere il cominciamento della nuova sequela degli eventi, sino alla loro consumazione finale Ora dicevamo, che questo sarà un emergere affatto velleitario di quello che non avrà che fare emergere, a stabilire una sua pretesa completezza, al nostro livello corporeo e liminale, ma senza potere assurgere al grado delle formalità pure, vale a dire, al livello di quelle determinatezze fisse, fissate una volta per tutte, nella loro perfezione subordinata.

Sarà questo un dominio, che aprirà le porte infere al limitare del regno delle tenebre, già ne abbiamo adesso il preludio inquietante, in un’inconsistenza temporale che accennerà ad un’istantaneità scevra di durata, in una costrizione del regno della luce che quest’ultimo non potrà mai accettare, a prezzo di un compiuto risolversi senza reintegrazione, siccome verrà ad essere invece quello suddetto del Giudizio Finale. Un emergere fittizio, un trionfo del quale ci ravvisiamo attorno tutte quante le avvisaglie inquietanti, in attesa che si venga ad affermare, nella sua inconsistente temporaneità, il fastigio illusorio della sua dominazione informe, il regno dell’Impostore deforme, dell’Anticristo.

Non per nulla quest’ultimo personaggio dovrebbe essere consacrato dalla manifestazione di potenza di una significazione sconsacrata, vale a dire, di una significazione la quale, nella sua pretesa di recidere dalla trascendenza, avrà riportato la sua significazione ed il suo potere a quelle controformalità debilitate dissolutive inferiori, che pretenderanno di proporglisi, per suo tramite, siccome causalità effettive. Ma non facendo in questo modo se non far risaltare la Potenza Divina Suprema, secondo il suo attributo di collera e di punizione, al di là, così come nella presenza stessa di quella temporanea e quasi istantanea, velleitaria, ingannevole affermazione debilitativa inferiore ed infima.

L’inversione dunque del Sacro Impero, della Luogotenenza e dall’Intimità divina, che verranno invece propiziate da quella medesima significazione invertita, o pretesa tale, sino a fare assurgere istantaneamente nel mondo quello che ne farà invece sprofondare ed annichilire la pretesa tracotante. Dunque tutta una serie di inversioni, in primo luogo, quella dall’unità all’unione, e quante sono le unioni, non divine, ma umane, in definitiva di scaturigine infernale, che ci ritroviamo intorno, se l’uomo sarà fatto, tramite l’unità, per ascendere, vale a dire, per comunicarsi, e per assurgere alla prossimità, all’identità ed all’intimità delle sue stesse scaturigini superne e Supreme.

E fatto che non l’abbia, l’ascendere, in velleitaria negazione, non farà ancora se non ricondurvisi, anche se suo malgrado, ma sprofondando così nel precipizio della voragine infernale, se di per sé stesso, se nel suo significare connaturato, egli nulla verrà ad essere di fatto o di diritto. Unione dunque che viene dall’uomo degradato, e per suo tramite, dall’Inferno stesso, non da Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere. Quindi l’inversione della legge. Tanto che atti sconci ed immondi, con le realtà loro legate e da loro prodotte, andranno a giustapporsi con protervia al a quel fatto di natura direttamente voluto da Iddio, che Egli sia magnificato ed esaltato, non per inversione.

L’aberrazione di Sodoma, impostatisi al suo tempo come legge surrettizia di due sole città, distrutte dall’ira della punizione divina, e di Lesbo, più tante altre, tutte sconce e ributtanti nel loro arbitrio, che sarebbe qui lungo e disgustoso dovere narrare. L’infanticidio associato all’omicidio, elevati a strage ed a genocidio nel loro orrore, con la loro pretesa indefinita, mirante ad annichilire un’umanità sorta a significazione di morte, che solo nella sterilità e nell’omicidio si ricondurrà al suo controprincipio, nella pretesa assurda di sopravvivere grazie a tanti marchingegni che, esclusa la persona umana, la ricondurranno a produzione conforme di una razza di schiavi contracculturati.

Con tanto, all’uopo, oppure non all’uopo, affatto gratuitamente, di stragi degli innocenti, e non solamente abortive, ma per via di tutte quelle guerre che si adoperano, coi loro marchingegni infernali, per imporre al mondo intero il nuovo ordine pervertito, affatto contrario, nel senso che avevamo già detto della sua intermediazione, all’ordine divino. Quindi le stragi col fuoco, non più con la spada, vale a dire, con l’arsione delle vittime, da annichilirsi, in una pretesa antiumana, e soprattutto antidivina, sino in quella sua scaturigine animica che al fuoco, ed al sangue, ed alla loro vitalità, nel senso di matrici di vita, sarà legata. Quindi la menzogna eretta a norma umana.

Le creature infernali sono bugiarde eminentemente, perché partecipi sostanzialmente della realtà, o piuttosto, della irrealtà delle dissoluzioni infere nullificanti. Perché “Egli è bugiardo e padre di menzogna”. A nulla dunque, o quasi, varrà fare risuonare all’uopo nel mondo il verbo della realtà, in un mondo quale il nostro presente, divenuto oramai appannaggio di un’irrealtà affatto penetrante, di vario ordine, la quale verrà a fare valere il suo stato in buona parte d’irrealtà, con la stessa varia conformità in tal senso, a cominciare da quella verbale, con tutta la sua pretesa a suo avviso ineludibile da fare valere in tutti i modi, vale a dire, o con le buone o con le cattive.

Ma potrebbe a dire il vero sembrare, a prima vista, vale a dire, ad una considerazione non attenta, che il proferire verbale, vale a dire, il “flatus vocis”, non debba avere di per sé stesso una grande importanza al fine di conculcare e screditare una qualsivoglia realtà. Ma il fatto sarà, che la creatura umana non farà se non proferire una qualche sua rappresentazione, alla quale conferisce e riconosce una sua obiettività, oppure che contrappone ad una qualche realtà, sfigurandola, in tutto od in parte, tanto da farne, in questa medesima maniera, un elemento decisivo del suo mondo, vale a dire, del suo modo di distorsione e di menzogna, quando questo abbia ad esserne il caso.

Sarà anche da osservarsi, a questo medesimo riguardo, che le creature infernali, vale a dire, i diavoli originari, o quelle acquisite grazie al loro operare ed al loro credere, o meglio, grazie ad un non credere velleitario che sostituiranno alla fede di una credenza certa, verranno ad essere bugiarde e madri di menzogna, nel senso suddetto da noi sopra mostrato, di proporre un loro mondo invertito rispetto a quello dell’irradiazione divina originale. Tanto da fare di questa medesima invenzione e controirradiazione il loro mondo, col loro verbo conforme, che essi proferiscono in compiuta conformità, nel tentativo di imporlo a tutti, vale a dire, di farne l’unico mondo accettato.

Verrà quindi, in questo stesso maniera, resa compiutamente ragione di tutta l’importanza di un proferire verbale, che si proponga d’opporsi all’irradiazione divina diretta ed originale, tanto da venire a costruirsi velleitariamente un suo mondo, il quale se ne sovrapponga alla consistenza originale, riferendosi a quella suddetta inversione velleitaria mediata la quale se ne sovrappone al causare. Facendo vivere gli uomini, i quali se ne adeguino alle pretese, in una loro comune realtà di sogno spettrale ed esangue, dove tutto sarà sfigurato all’inverosimile, sino ad invertire del tutto quella che veniva ad essere, essendo di diritto, la realtà di fatto irradiativa originale.

Tanto che sarà specialmente in questa maniera, la quale andrà di pari passo con la suddetta irradiazione distorta ed invertita, che il peccato diverrà virtù, dapprima associandoglisi con pari diritto. Diretto questo che sarà quello di una processione del nulla che nulla potrà creare, niente definire e distinguere, nella pretesa eguaglianza di quei colori dell’arcobaleno, o dei petali della margherita di fatto del tutto insussistente, per poi tentare di sostituirla con l’esclusiva dominazione invertita della sovranità dell’impostore deforme, delle sue creature abominevoli e peccaminose, dei suoi seguaci d’elezione, secondo quell’andamento del resto acutamente delineato da altri.

E sarà a questo punto che si verrà a produrre una particolare adesione, quanto alla volontà. La volontà umana si riferisce all’intelletto, promuovendone le acquisizioni, alle quali procederà in un’assunzione unitaria, che ne conferma il produrre, sino a proporne l’unicità distintiva, essendo in definitiva una sola cosa con loro, non semplicemente, ma siccome assunti di un’unicità distinta e complementare. Ora il dono dell’intelletto sarà la realtà, nella sua irradiazione divina unitiva, nel senso che la venga a confermare una libertà, che verrà ad avere e senso e luogo solo nel suo procedere nel verso delle sue varie assunzioni ai loro diversi livelli.

Libertà che verrà intaccata dal prodursi di quelle controirradiazioni, delle quali prima dicevamo, senza lederne il potere di adesione, in una libertà succedanea, quella dell’arbitrio, la quale non farà se non proporle entrambe, quella della trascendenza e della realtà, e quella dissolutiva, alla potenza adesiva ed unitiva. In un mondo in cui i succedanei invertiti delle adesioni intellettive pretenderanno di produrglisi indifferentemente, l’intelletto avrà modo d’aderirvi falsandosi, vale a dire, riconoscendo loro una realtà che non hanno, o che giammai avranno, producendovisi per una sua costituzione la quale ne venga a ripetere la previa potenza adesiva, da lui del tutto dipendente.

Sarà questo, vale a dire quello del prodursi di un’intellezione fittizia e pretesa, uno dei segreti massimi di questo nostro basso mondo, il quale ne verrà a stabilire l‘arcano dell’iniquità quanto all’uomo comune e transeunte, se non quanto a quelle creature infernali oramai già definitivamente perdute, o di per sé stesse originariamente, oppure per successiva adesione. L’intelletto verrà ad avere così l’occasione, tramite la volontà, di negare, oppure di aderire a quello che, in linea di principio, non gli compete affatto, per negazione o adesione, per una sua scelta apparente, la quale non verrà a sussistere se non in un’ulteriorità velleitariamente positiva, apparentemente unitiva.

La quale ulteriorità esso verrà a produrre mediatamente nel proporglisi delle suddette costituzioni ed adesioni fittizie, senza che tutto questo abbia a lederne la potenza unitiva originaria, ma dandogli nondimeno modo di precipitare nel precipizio di quella suddetta voragine. Per un qualche cosa il quale verrà ad essere pure produzione originaria d’Iddio Altissimo, Ne sia esaltato infinitamente l’Essere, originariamente da Lui in Lui, per mediazione costitutiva e risolutiva, stabilitovi che quello sia pur sempre in quanto tale, ed il cui prodursi sarà diverso nella sua medesima produzione, quando Egli la voglia, volendola Egli trarre nella Sua assunzione risolutiva suprema.

Verrà questo ad essere un segreto difficilmente attingibile, se non del tutto inattingibile, quello per il quale l’uomo finisce col volere e con l’aderire al male, al male del suo essere, così come soprattutto a quello del suo esito, sia pure nel suo non essere in definitiva. Essendo qui, in questo nostro basso mondo della deviazione, e nelle sue propaggini immaginali ulteriori, che tutto questo verrà ad avere luogo, in una predestinazione esistenziale della volizione, a nostro modesto avviso, senza una qualche scienza media, la quale finirebbe col lasciare indebitamente un minimo residuo creativo alla creatura umana, prospettiva quest’ultima del tutto assurda, sempre a nostro modesto avviso.

Essendo questa la ragione del prodursi in questo nostro basso mondo liminale, a procedere da quel resto ultimo delle origini che vi attecchisce minimamente, sino a questo nostro esporvisi finale, che renderà l’uomo instabile nel suo proporsi e nel suo prodursi, sino a fargli balenare, qui preferibilmente, anche senza escludere le antecedenze delle altre età, la sua adesione dissolutiva, che lo separerà dalla sua legittima antecedenza superiore, così com’era saltuariamente e limitatamente anche per le precedenti età del mondo. L’uomo verrà pertanto a sviarsi, per sua schietta volontà, in questo medesimo modo, ed ai nostri giorni questo avviene più che mai.

Le invenzioni esistenziali surrettizie che gli si propongono oggigiorno, gli proferiscono le sue medesime menzogne, alle quali egli si premura sovente di aderire, in tutta semplicità, ma in realtà consapevolmente e volontariamente, ma senza che possa giammai conculcare il fondo della sua conoscenza originale. Sarebbe qui lungo enucleare compiutamente tutte quelle aberrazioni, alcune artificiali, altre d’apparenza naturale, alle quali gli uomini si sentono sin troppo spesso di aderire, propostegli che esse gli venano davanti dagli inferi. Alcune sue apparenti produzioni, altre invece le quali invece gli propongono, come scaturissero di per sé dalle tenebre esterne.

Su di una di queste aberrazioni in questa sede ci aggraderà di soffermarci un poco, vale a dire, su quella dell’inversione sessuale. Mentre talune di loro, come la transessualità arbitraria, sembrerebbero in larga misura peculiari di questa nostra età di tenebra, a volte dovute solo in parte ad un mancanza esterna di conformità, che sia promossa da difetti della causalità antecedente esteriore, come avverrà per i mostri di natura, cui fa seguito, in questo caso, l’intervento artificiale, questa mostrerà d’avere avuto diffusione anche in età precedenti, vale a dire, per certi mondi i quali vennero ad essere schiettamente anteriori al nostro, essendo questo un dato di fatto incontrovertibile.

Sennonché quello che andrà qui rilevato, sarà che tutto questo apparterrà a quei corsi e ricorsi, di cui avevamo detto già prima, vale a dire ad un tralignamento che venne già in precedenza corretto, senza che dovesse ancora costituire il limite estremo della degradazione di un tempo e di una età dell’uomo e del mondo. Basti pensare ai tralignamenti delle età di Socrate e di Platone, ai quali si giunse a trovare un rimedio. Mentre quello del tempo di Dante invece non fu se non l’inizio della nostro, ben più terribile, al quale non si è ancora giunti a trovare l’emendamento, il che sarà del resto umanamente affatto improponibile, a prescindere dal diretto intervento divino.

Ed in secondo luogo ancora, andrà qui pure notato il fatto capitale che, a differenza di quanto avvenne invece per Sodoma, la quale venne distrutta dall’ira della punizione divina, oppure a Lesbo, e in generale nell’Ellade antica, con una penetrazione inferiore a quella suddetta, o che potrebbe essersi avuto anche per l’Atlantide platonica, oppure per l’umanità antidiluviana, al che si provvide tramite Noè, la pace su di lui, o per gli altri popoli sviati menzionati nel Sacro Corano, qui non si arrivò ancora a superare certi limiti, quali quello del matrimonio empiamente caricaturale, ed addirittura della figliolanza immondamente usurpata, a tutto loro disdoro e condanna.

Nel senso di una formalità legale la quale, anche se non divina, o pretesa tale, questo almeno nella maggior parte dei casi, non farà se non addurre un abuso formale a quello che non potrà promuovere, se non in una sua forma dissolutiva e regressiva interiore. Tanto che, in un caso come questo, si dovrebbe dire piuttosto di nozze infere, e di corrispettiva figliolanza, non certo di una formalità la quale pretenda di trarsi da quella irradiativa diretta che compete a questo nostro basso mondo, almeno nella maggior parte dei casi, con una figliolanza almeno in parte legittima, la quale le verrà a competere, seppure non assurgendo in nessun modo al livello della formalità trascendente.

Ora in questo nostro mondo ultimo contemporaneo, in questa età di tenebra, l’illegalità formale del matrimonio avrà, in primo luogo, due aspetti, l’uno comune, vale a dire, quello del lato del mero concubito di natura, senza nulla di più, l’altro essendo quello della legge meramente umana, che rimane legge, sia pure degradata, almeno per gli esseri umani. Da ultimo, avremo quella estrema ed aberrante riservata ad un concubito contro natura, il quale non farà di fatto se non presagire ulteriori inviluppi, vale a dire, quello di uno o due artifici, e da ultimo quello direttamente infero, cui ancora, per nostra fortuna non siamo giunti, oppure del quale non abbiamo ancora notizia.

Ora tutto quello che sarà rilevarsi in queste medesime vicende, sarà sempre la suddetta ricerca d’unione, preconizzata in primo luogo variamente sotto il riguardo pubblico, con quelle unioni che tenderanno tutte a quella comprensiva imposta, con le buone o con le cattive, dal governo mondiale. Un governo meramente umano, o piuttosto, in definitiva, di scaturigine eminentemente infera, con il quale l’uomo tenterà di preconizzare avvicinandoglisi, quell’oppressione assoluta del Vicario dell’Inferno, fatto che ne venga mancipio di quel tempio già divino, poi adibito alla manifestazione del suo potere degradante e degradato, come già dicevamo in precedenza.

Potere assoluto questo che verrà ad essere preceduto da quello del consesso framassonico delle nazioni senza Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, preda di un patto aberrante, con la sua funzione centrale ed iniziale, e che farà riferimento ad un conduttore, all’“Imperator del doloroso regno”, che lo ispirerà dal basso, da quella piramide tronca espressione della pretesa mancanza completa d’irradiazione divina. Ma alla fine, nella sua inversione estrema, questa troncatura verrà colmata, verrà resa al suo principio e completata, dalla sua pretesa assurda di potere effettuale, cedendo il campo, dalla vittoria pretestuosa del potere del nulla, al trionfo della gloria dell’Essere.

Ne abbiamo già da tempo, sono oramai trascorsi vari decenni, tutti gli antecedenti. Né deve meravigliare il fatto, che quei poteri, alcuni più o meno legittimi in una qualche misura, nel senso o di riferirsi ad una qualche efficienza della trascendenza, oppure di vagare incerti in un ondeggiamento che si pretenda di astrarre da quella scaturigine infera, in mancanza di canali superni effettivi non mediati dalla discesa agli inferi, tutti questi altri poteri stiano tentando di darsi una qualche unità, nell’attesa, almeno per taluni di loro, del manifestarsi della perspicuità divina, che scevererà il grano dal loglio, giungendo alfine a fare piazza pulita di tutte quante quelle indebite intromissioni.

Tutto questo fa parte del gioco, e delle condizioni effettuali di questo nostro tempo. Nel senso che sarà impossibile, nelle sue presenti condizioni effettuali, pretendere d’evitare di assumere un qualcosa di questo nostro modo di tenebra, ma questo solamente per volgerlo contro quello stesso dominio dell’inversione, al quale apporlo con l’indirizzo dell’intenzione, a prescindere dall’assoluta Volontà Divina, che di tutto dispone, ed a tutto provvede, sapendolo indirizzare. Tutto questo non significherà peraltro che il fine possa giustificare il mezzo, perché di per sé stesso ogni mezzo sarà già per Iddio, Ne siano lodati i Nomi, che sarà sempre l’unico fine di tutte quante le cose.

Anzi al contrario, il fine assumerà sempre il mezzo, qualificandolo in vario modo, rendendolo così estraneo, almeno in certi casi, nel suo indirizzo e nella sua effettualizzazione, e contrario a quello cui aveva preteso di fare riferimento traendovisi, e questo o suo malgrado, o a dispetto della causa seconda che se ne avvale, facendosene in ogni caso una controparte. Come sarà, ad esempio, per l’artificio contemporaneo e moderno della falsa scienza pretesa o neutrale, od invertita, a procedere da quella delle armi, nella sua pretesa di prescindere dall’Essere e dalle Sue irradiazioni, che comprendono ogni esistente, a dispetto di qualsiasi velleitaria inconsistente ripulsa.

In ogni caso sarà questa nostra complessivamente un’età di tenebra, essendo di fatto più millenni che ci troviamo incessantemente in lei, quale che ne sia la nostra misurazione temporale, con tutta quanta la loro insufficienza quanto al suo ammontare reale, essendo pertanto in un tal modo che ce ne ritroviamo nelle condizioni effettuali, sia pure nelle loro variazioni. Condizioni dalle quali, in generale, non sarà pertanto dato di prescindere, essendo peraltro le nostre quelle estreme e liminali, sia pure in questa medesima loro variazione incessante, quelle che si rifanno ed accennano oramai all’inversione esistenziale terminale, siccome già dicevamo in precedenza.

Quindi nulla dovremo avere, a questa medesima stregua, di cui meravigliarci per taluni arzigogoli della cosa pubblica, per certi rapporti, personali, e persino per certe alleanze temporanee o apparenti. Pur sempre valendo il principio ineluttabile per il quale l’alleanza reale, l’amicizia reale, la fratellanza reale, varranno solamente quanto all’Unità Divine ed alle sue scaturigini o dirette, oppure mediate in un senso trascendente, ma non certo per una loro qualsivoglia inversione funzionale, la quale venga velleitariamente a rovesciare l’Inizio del procedere del conseguimento causale quanto ai principi trascendenti, e da ultimo, quanto all’Unità Suprema.

Dicevamo dunque di unioni varie, che precorreranno quella farsa unità, quell’unione, per usare un termine più corretto, non divina, in definitiva non umana, quindi infera, che tenterà d’imporsi da ultimo al modo intero, quantunque il suo conseguimento abbia ad essere sì esteso, ma giammai completo. Per il permanere di quel resto d’Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, che anzi tenterà di farsi in qualche modo sempre più valere nell’intendersi della sua forza, pur sempre perdendo molte posizioni, pur in una sua difficoltà quanto a quel potere effettuale che, in definitiva, rimarrà pur sempre appannaggio delle potenze delle tenebre, vale a dire, delle scaturigini infere.

Ci siamo ormai assai vicini. I fronti si vanno delineando. “Sarete setacciati, setacciati, setacciati”, recita un verso ispirato di uno dei Puri, e “sono venuto a portare non la pace, ma la spada, a dividere il padre dal figlio”, e “chi ha un mantello, lo venda e compri una spada”, dice il Sigillo della santità universale. A sbugiardare quell’ostentata professione di pace indistinta dei seminatori di guerra e di male, che non sanno, o fingono di non sapere, che la pace non potrà prescindere dalla giustizia, dalla scelta di chi ha avuto il suo posto assegnato dall’Altissimo, Ne siano esaltati i Nomi, dalla libertà sì, ma in Lui e per Lui, e dalle pulsioni infere, ma non per loro, non per le tenebre esterne.

Che quella pace, essendo quella divina, non quella umana, non potrà prescindere affatto da quella fraternità la quale procede solamente dal Suo Volere, senza che abbia a venire a sovrapporsi ad un’inconsistenza nullificante, inconsistenza d’inconsistenza dunque, la quale non abbia a sovrapporsi a nessuna delle varie assimilazioni esistenziali di natura, senza che venga ad essere quella derivata dall’accettazione e dell’ordine divino e della sua realizzazione. La quale accettazione la renderà sì eminente, dandole valore, vale a dire, dandole il suo compimento, il suo fastigio, al di là della sua mera generalità comune, e volgare, ed inferiore, che lascia il tempo che trova.

Professione di pace che dunque sta tentando di farla finita una volta per tutte con quella ineludibile frontiera divina, tentando di banalizzare e di vanificare lo sforzo per Lui, sulla Sua via. Sia pure in quella ineludibile comunanza di natura che, soltanto quando generalizzata ed applicata indistintamente ed indebitamente, non farà se non portare alla pretesa vana ed illusoria della derivazione pretesa assoluta dal Signore delle tenebre esterne, al servizio del suo manutengolo infernale, senza che sia mai dato modo di prescindere dalla derivazione divina, la quale si verrà dunque a riproporre sempre al di sopra di ogni pretesa vana, in tutta la sua eminenza e necessità.

Lasciamo dunque una volta per tutte da parte quelle insulse riunioni di fratellanza framassonica ed infera, con tutte le loro vane, e stolte, ed ingannevoli declamazioni, che lasceranno sempre il tempo che trovano. Tutto questa a prescindere solamente dall’appello a Iddio Altissimo, Ne siano magnificati i Nomi eccelsi e benedetti, alla Sua Legge, alla Sua retta dottrina, in definitiva, dalla retta conformità al Suo santissimo Volere, ed al suo appello benedetto, al di là da ogni menzogna, e da ogni qualsivoglia fuorviante attestazione e pretesa meramente umana per quello che lo riguarda, senza perdersi, come recita il Sacro Corano, dietro a dettami di capi umani.

Lasciamo sbraitare nella loro impotenza, preparandosi alla guerra vana dell’uomo pervertito, quanti professano un amore vacuo, con la sua pace, affatto passionale, non conoscitivo ed attuativo, fondato su quell’indifferenza, su quella vanità. Per poi darsi a cicalare ed a vociare con calunnie e falsità contro quanti non vogliano conformarvisi nella sua completa vacuità, combattendo chiunque si rifiuti di non combattere per una giusta causa, che sarà una, quella di Lui e per Lui, per la Sua Legge, per i suoi Inviati ed Intimi, per tutti gli eredi del loro, vale a dire, del Suo Messaggio, per la via dell’ascesa a Lui, la quale sarà, in definitiva, l’unica via.

L’amore unitivo sarà dunque solamente derivazione divina, null’altro in senso proprio, conforme all’ordinamento alla distinzione, ed al comando della Sua Santissima Volontà, presupponendone la conoscenza intellettiva superna, e l’attuazione. L’amore verrà ad essere conformità alle Sue distinzioni, perché di là da Lui, non vi saranno unità, od unificazione conforme, se non solamente in limitazione e formale ed individua, senza fastigio attuativo. L’amore non sarà mai, a prescindere da ogni conoscenza realizzativa superna, vana conformità alle nostre insulse pulsioni emozionali, coi loro vari contorcimenti informi, sull’orlo del precipizio della voragine infera dissolutiva.

Talché quella pretesa di solo amore, che vanno proferendo taluni ignoranti senza conoscerne affatto la trascendenza divina, laddove a questa medesima eminenza divina non faccia riferimento, donde essa abbia legittimamente e derivare, sarà affatto vana, laddove non s’abbia a ricondurre se non a vane apprensioni e ad insulse pulsioni sentimentali subumane, con tutti i suoi conseguenti scomposti contorcimenti. Ma Solamente quando, nella trascendenza, sapremo che cosa sia l’amore, potremo seguirlo ed attuarlo. Dapprima nulla ci valga se non l’osservanza della Legge Divina da Lui largitaci, tanto da poterci avvicinare a quell’amore, di cui ora non abbiamo sentore se non per segni.

Non facendo così, non faremo se non applicarlo ad un’informe indistinzione subliminale risolutiva, con tutte le contrapposizioni che ne derivano, vale a dire, con tutti quelle separazioni che gli si applicano, proprie di quella confusione contraltare dell’Unità Suprema, annessa alla Sua distinzione. Non facendo in questo modo, di fatto, se non applicare la vana pretesa avente come contenuto solo quello del vano “bellum omnium contra omnes”, la guerra di tutti contro tutti, vale a dire, la legge spietata dell’“homo homini lupus”. Come stanno a mostrare nella loro più perspicua evidenza, tutte le guerre interminabile dei difensori di un ordine mondiale e di una pace illusoria.

Quindi non ce ne meraviglieremo più di tanto, allorquando ci avvedremo, che quelle varie unioni, quali che esse siano, caricature dell’unità e dell’unificazione, non finiranno col produrre se non guerre continue. Né varrà per nulla la pena meravigliarsi del fatto, che abbiano ad essere apparentemente esterne a chi le promuove, pur con i suoi conseguenti conseguimenti e mancipi, i loro bottini, della loro aggressione, tanto da fare intravedere a taluni, o ingenui o in mala fede, una sorta di fronte dell’ordine contro un preteso esteriore disordine, quale che sia l’uno e l’altro. Nulla di tutto questo, a dispetto delle pretese vane, così come delle apparenze illusorie.

In effetti, basterà considerare con un minimo d’attenzione il realizzarsi di un siffatto sogno vano, in tutte le sue varie effettuali conformazioni, per non ravvedervi se non disordine, ed ostilità, ed odio, contro l’umanità ed il mondo tutto, ridotti che si sia alla mera pulsione individuale e subumana contro l’intelletto, l’intelligenza superiore. Sminuzzati e miniaturizzati che si sia nelle velleità della persona ridotta ad individuo dalla sua radice trascendente, ridotta alla sua vana ed ingannevole derivazione inversa, con tutte le sue pulsioni inferiori, anch’essa peraltro, siccome già in precedenza dicevamo, d’origine superna e Suprema, ma questo solamente per inversione dell’originale.

Da qui, nel profondo, una completa mancanza di ordine e di concordanza, che fanno mostra di sé solamente in corrispondenza di un qualche riferimento trascendente consapevole, che non sia quello delle società informi, senza trascendenza, e delle varie religioni ridottesi ai minimi termini ed invertitesi, delle quali si pretende un’unione meramente esteriore. Una condivisione che sarà meramente individuale, quella di un dio informe ridottosi a congegnare dal basso il coordinarsi preteso progressivo del mondo, in realtà in vista di quella dissoluzione, previamente a cui, alla sua pretesa inattuabile, verranno fatte scaturire, o meglio ce lo si proporrà, le potenze infere regressive.

Da tutta quanta questa deformità, e dal suo potere e presente e futuro, verrà un conflitto senza quartiere contro tutto quello che non vi si sia ancora adeguato e ridotto, nella sua resistenza d’ordine divino, e non vogliamo qui riferirci a quelle pretese affatto vane di quello che s’accolla indebitamente un ordine siffatto, con la sua ispirazione. Facendo invece riferimento, per parte sua, a produzioni mondane d’origine prettamente infera, camuffandole con paludamenti vari che lasciano il tempo che trovano, e giungono e giungeranno ad ingannare a volte anche i migliori, proponendosi di farlo persino con gli eletti d’Iddio Altissimo, che Egli venga magnificato ed esaltato.

Oppure contro tutto quello che, continuando ancora una qualche resistenza passiva, si venga a porre ancora, o si sia anche già posto, come era anche avvenuto in passato, al livello di una materialità non ancora risolta. Oppure anche a quello, com’era pure già avvenuto in passato, di un ricollegamento ad una trascendente meramente velleitaria ed immaginale, che non faceva altro, in definitiva, se non fare precipitare ancora al livello meramente materiale. Opposizioni fasulle, queste ultime, che sono state o tutte quante, od in buona parte già debellate dall’inversione dissolutiva apparentemente trionfante, destinata ad operare la sua iniquità, sino al trionfo finale dell’essere.

Oppure anche di una velleitaria connessione senza un correlato effettuale, la quale ne renderà affatto vana la pretesa, relegandola al rango di quella medesima suddetta vanità, se non materialità completa, la quale pure opponeva, o pretendeva d’opporre una qualche resistenza alla dissoluzione completa. Da qui le varie contrapposizioni, combattute o no che esse fossero o siano anche con le armi, sino alla resistenza ultima, estrema e suprema, di chi non si vorrà mai, per decreto divino, per il Suo ausilio, conformare all’ordine ributtante di un’umanità del tutto perversa ed infera, vale a dire, l’opporsi di chi abbia trovato la via dell’ascesa, e la voglia ancora indicare al mondo.

Il che lo renderà il bersaglio di tutto il livore, di tutta la rabbia impotente di quella controparte, di tutto le sue menzogne sfacciate ed abominevoli, di tutto i suoi tentativi d’inganno, di tutti suoi ammiccamenti interni e dei suoi marchingegni ed aggressioni esterne, di tutte le sue escogitazioni produttive, e finanziarie, e pubbliche in contrario, di tutti i suoi inganni accomodanti o pretesi tali, di tutte le sue invenzioni propagandistiche fuorvianti, volte a dare le colpe alla parte offesa, “in grido, come suol”. E che non si debba mai addivenire, prima della fine, Iddio non voglia, ne sia esaltato l’Essere, ad un regolamento dei conti d’ordine bellico e militare, pernicioso per l’intera umanità.

Perché di fatto e di diritto, palesemente o nascostamente, quel resto d’Iddio Altissimo, che Egli sia magnificato ed esaltato, non potrà mai venire del tutto meno. Noi non sappiamo quali saranno gli andamenti intermedi frapposti del contrasto, noi sappiamo solo che la vittoria finale spetta a Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, a Lui del tutto puro nella Sua Suprema Unità, non adulterato comecchessia da intromissioni umane, e neppure ridotto abusivamente a quella contraffazione infera inversione dell’Origine della Sua Unità Eccelsa! Altro che dio nascosto, quello reso manifesto, se non giammai palese, dalla Legge e dai Nunzi Suoi, non da umane immaginazioni!

Alto che spada contrapposta alle piaghe, come avrebbe sostenuto un ignorante! Come se Gesù non avesse conosciuto quella spada, come se altri non abbiano conosciuto quelle piaghe, come già dicevamo prima, e non debba conoscerla, quella spada, alla fine, versandone il sangue, come si recita nell’ultimo dei libri della cristianità, quello riservato alla fine dei tempi! Come se la purezza divina non debba essere una via a Lui, contro un’umanità che la falsa, anche se, molte volte, senza obliterarla del tutto. Senza che, chi venera simulacri vari ci debba rimproverare, in tutta ignoranza, di adorare una significazione, che sarà solamente un ricordo, un segno, una via a Lui!

Come se il “Deus absconditus” debba celare del tutto la Sua proclamazione, la Sua investitura, la Sua derivazione ai suoi vari livelli, ad altri per lo più affatto ignoti, senza una maschera falsificante, quando se la debba assumere in Sé Stessa la Sua Essenza Suprema inconculcabile! Come se l’Unità Suprema Perfetta debba accettare una qualche distinzione, quantunque omnicomprensiva, appartenente al più della Sua derivazione prima superna! Ce lo dicano dunque, una volta per tutte, perché Iddio Uno e trino, e non trino ed Uno? Non sarà questo un riconoscimento implicito della superiorità dell’Uno sul tre, tanto che quest’ultimo Gli si debba alla fine riferire nella Sua eminenza?

Come se una figliolanza possa essere intesa a prescindere da un’identificazione formale, non solo essenziale, che la faccia riferire ad un’Unità trascendente che ne dia ragione, invece di ridurre quest’ultima ad una pluralità la quale non dovrà sostenere. Tanto da proclamarsi, giova ripeterlo, prima uno e poi trino, mai prima trino e poi uno, a dispetto di quella paternità e figliolanza, e di quella spirazione attiva e passiva, risolventi e non risolte. La piaga e la spada, li hanno adoperati del tutto a sproposito, i segni divini sono stati rinfacciati da chi venera “santini”, o immagini non divine, o divinizzate, o nulla, senza una via a Lui. Ma di questo basti.

Non sarà certo nostro intento, che ci rilasci andare, in questa medesima sede, ad una qualche controversia, come sarà invece per altri, i quali, del tutto incapaci di concepire la significazione nella sua correttezza, si lasceranno invece andare, e non sarà certo il nostro il solo caso, a vane accuse di adorazione d’immagine. Perché sarà anche troppo facile la risposta, almeno contro quelli che l’immagine, invece che derivata da Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, come già dicevamo, se la fabbricano con le loro stesse mani, anche a prescindere da una qualche Sua immediata derivazione. E chi ha orecchie per intendere intende, e ed occhi per vedere, veda.

La vittoria finale sarà dunque della Divina Purezza, Egli ce lo ha promesso inequivocabilmente, anche se non sappiamo quando. Per adesso, accontentiamoci di resistere, il che sarà già molto, giungendo anche, di volta in volta, quando ne sia il caso, a contrattaccare. Dicevamo dunque di unità pubblica, dicevamo di pretesa unità framassonica delle varie fedi, divine o non che esse siano, da “parlamento delle religioni” di teosofica memoria, oggi sin troppo attuale, invertite e prone nell’adorazione dei poteri inferiori, vale a dire, della completa dissoluzione infera, dell’essere indeterminato delle varie comunanze rese informi, e della materia prima ad esso sopraordinata.

Vale a dire, la dea madre delle antiche molteplicità divine regressive, almeno in parte, a prescindere da un loro ancora sussistente lato superiore, e la corrispettiva adorazione, alla quale purtroppo abbiamo già avuto modo di assistere, ed in varie maniere, a dire il vero, a vari livelli, da quello di una crassa pretesa d’uniformità corporea, sino a quello di un’adorazione caricaturale, da non confondersi certo con un rispetto dovuto pur sempre ad una creatura creata da Lui, nel rispetto del suo ordine esistenziale, e della sua conforme dignità. Questa religione informe, questa propensione informe, siccome dicevamo, verrà ad essere l’inizio dell’attacco finale all’obiettivo umano.

Non lasciamoci qui ingannare dalla falsa forma, anche suadente, dalla caricaturale propensione religiosa, nel senso di un qualcosa che preceda per inferiorità il nostro mondo. Sarà l’uomo steso che dovrà qui essere colpito, nella sua stessa corporeità, nella sua stessa consistenza formale. Perché soltanto così il circolo potrà essere chiuso, tanto che quella fasulla adorazione infera potrà ritrovarsi davanti la sua controparte conforme, anch’essa fasulla e velleitaria, anch’essa infera, perché giammai ci si potrà accontentare, si potrà giammai essere soddisfatti, da parte di costoro, di grado in grado, della schietta creazione divina, quale essa continua residualmente a sussistere.

Dunque l’uomo verrà, e viene già adesso attaccato nella sua corporeità formale, fatta salva quella sua ulteriorità interna annessa, di derivazione direttamente trascendente, alla quale vanno riservate ben altre attenzioni, esterne queste ultime, ma tali da intaccarla, con una fuorvianza attrattiva, che verrà a comprometterne le pulsioni e le attrazioni conformi. Sarà quest’ultima una produzione mentale illusoria, la quale verrà ad attrarre all’evidenza corporea, e ad una pretesa sufficienza, venendo quest’ultima ad annettersi al proporsi di quella corporeità, in una dominazione affatto esteriore la quale verrà a dare l’illusione fallace di un’inconsistente onnipotenza.

Dominazione esterna e violenta questa, certo niente affatto una concordia che venga ad avere per sua ultima istanza la trascendenza, dominazione la quale verrà ad avere per sua controparte l’adorazione, il volgersi al potere, il rispetto e la richiesta dell’aiuto di queste forme inani, ma non sempre tanto da darsene una qualche formalità a lei adeguata, oppure la quale se l’assuma in una qualche maniera di attrazione superiore. Adorazione la quale dicevamo verrà ad essere il contraltare di quella prima pretesa esaustiva, la quale finirà col dare alla sua controparte un sembiante esaustivo, e persino compulsivo, che sarà il correlato della sua stessa pretesa di compulsione comprensiva.

Questa verrà ad essere l’illusione di questa nostra scienza presente, in primo luogo, non avente per controparte l’essere Supremo con le sue diverse derivazioni, ma invece una sua mera avulsione, di fatto, anche se non sempre soltanto, ma anche dottrinale, la quale gli si proporrà all’inizio siccome subordinata, poi dominante. Per poi proporsi, al momento del fallimento di questa medesima mera pretesa, siccome l’oggetto di una sottomissione affatto vana, non avente, al di là delle sue inani formalità, oppure dei suoi spettri vacui, nessuna corrispondenza effettuale, nel senso della realtà dell’essere, derivata da quell’Essere Supremo, dalla Sua Unità Suprema omnicomprensiva.

Avendosi dunque quanto all’uomo i due suddetti momenti, l’uno quello della dominazione, l’altro quello dell’umiliazione, sino a giungere a farlo considerare siccome un’entità inutile e dannosa, non come la creazione divina superiore e centrale al nostro livello d’esistenza. Questo verrà ad essere, a larghi tratti, l’aspetto adiacente ed incorporeo di questa nostra medesima questione. Ma tutto questo non basta. Verrà la medesima corporeità, forma divina individuata, che trasmette la sua individuazione all’aspetto adiacente e trascendente della creatura umana, sino a farla addivenire, siccome sarebbe solito, alla completezza di tutti i suoi svariati poteri.

Questa corporeità dovrà essere di una forma adeguata, tale da garantire l’emissione strumentale delle potenze centrali che abbiano ad avvalersene, in un modo o nell’altro, all’uno ed all’altro livello. La trascendenza individua agirà non solo in sé e per sé, ma anche tramite la corporeità adiacente, e solo nell’uomo, se per il resto delle creature marginali non si avranno se non funzionalità adibite a quello che non potrà esimersene. La centralità di un essere centrale e comprensivo sarà tale da produrlo strumentalmente e mediatamente, nella sua compiutezza anteriore, mentre i particolari marginali si ridurranno ad aderire alla formazione liminale della loro individuazione.

In ogni caso, una corporeità la quale dovrebbe essere meramente strumentale, non compulsiva, quanto alle sue funzioni trascendenti di vario livello, che in quanto tale verrà a darsi una forma corporea e sottile, la quale sia adeguata a questa sua funzione. Vale a dire, venendo a proporsi in quanto strumento di quello che se ne avvale, che in quanto tale le verrà a dare la sua forma, questo a procedere dai vari livelli della trascendenza, ovverosia a procedere dai vari mondi sottili, con tutti i loro corpi che noi non siamo in grado di vedere con gli occhi interni, come sarà invece per taluni uomini di conoscenza, e da ultimo a procedere dai livelli puri, e dall’Unità Suprema dell’essere.

Saranno dunque quelle formalità che verranno ad avere un’estrema importanza quanto ai due momenti del superiore fungere corporeo, al di là dalle mere pulsioni adesive, vale a dire, quello meramente strumentale, e quello che invece trascendendo quest’ultimo verrà a fare un uso conforme a quella trascendenza. Questo nel senso di avvalersene siccome strumento del suo essere superiore, il quale lo verrà ad attuare quanto all’individuazione corporea di questo nostro basso mondo liminale. Ora Iddio Altissimo, che Egli sia magnificato ed esaltato, al di qua della Sua Unità Suprema, sarà il Solo, in quanto Principio esistenziale ed Inizio operativo, a creare e a distinguere.

Distinguendo dunque, quanto a questo nostro basso mondo liminale, in primo luogo le individuazioni derivanti dal distinguersi delle formalità pure antecedenti, ed in secondo luogo, le partizioni di queste stesse individualità, sussistenti non di per sé, ma nel loro aderire. Le varie specie coi loro generi dunque, per le esistenze non centrali, vale a dire, di suddivisione formale in suddivisione formale, e quanto invece a quelle centrali, le tante stirpi e comunità della centralità esistenziale. Dove andrà rilevato, che queste ultime saranno una produzione mentale ed effettuale, pur sempre distinte, o direttamente, oppure per mediazione umana, dall’afflato alla trascendenza loro inerente.

Mentre le prime saranno, in linea di principio, produzioni divine per mediazione, irradiazioni sacre della trascendenza, suscettibili sé di un’aberrazione d’origine umana, entro certi limiti, che non abbiano a conculcarne, a prezzo della loro efficienza superna, la particolarità dell’operare. Dunque la razza, la stirpe, e soprattutto il sesso, saranno qualcosa di sacro, senza pretendere, che non sia possibile avvalersene distortamente, di un’assunzione adorante indebita, separandone il dono del legato divino, il quale sarà da tenersi invece nella massima considerazione, e questo a prescindere da aberrazioni separative di esaltazioni del tutto fuorvianti.

Dalla qual cosa verranno due abusi, da un lato una divinizzazione corporea del tutto indebita, che produrrà mostri, e dall’altro il conculcamento, parimenti indebito, parimenti mostruoso e pernicioso, che produrrà un’inconsistenza effettuale, o pretesa tale, donde deriveranno anormalità le più deleterie. Oggi siamo spettatori della seconda aberrazione, dopo che l’affermazione della prima, con tutti i suoi difetti ed orrori palesi, ne aveva favorito l’avvento. Residui informi, cui farà da corrispettivo, siccome contraltare delle deformità corporee, l’incapacità d’assumersi le responsabilità, i pregi, e le prerogative della nostra eredità trascendente, messa in non cale.

Anche se, in definitiva, ci sembra di potere osservare, che dietro la squallida bisogna vi sia una qualche stirpe, quella informe e degradata, volta agli inferi da un sembiante di ragione, di chi gioca con una ricchezza anch’essa informale, per ridurre il mondo ai suoi minimi termini, assieme al piccolo resto del segreto dell’iniquità, enti meno che deformi ed insulsi, agenti di un’efficacia infera. Il tutto in quella prospettiva finale, già adombrata, dello strumento artificiale semovente, del cadavere animato, donde la mera creatura infera, del diavolo. Quindi la suddivisione principale, quella sessuale. Di derivazione principale questa volta, non per raggi o rami, come per le razze e le stirpi.

Voluti da Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’essere, i due sessi, siccome la derivazione di un essere da un essere, quasi a volere fare di quell’essere derivato una sorta di semina, di quintessenziazione, la quale venga a riprodurre l’uno, il maschio, in una trascendenza che egli possa comprendere, sino a rivelarne gli aspetti nascosti. I quali gli si proporranno in una sorta di preludio di un’immaterialità sussistente e materiata, previo al suo darsi nella sua composizione liminale, nella sua unità ed immaterialità anteriore donde quella deriverà, sino a che abbia a proporsene la figura suadente nella sua compiutezza, alla quale anche quello si riferirà nella sua compiutezza.

Contro tutto questo si adoperano in ogni modo le forze delle tenebre, favorendone quelle peggiori deviazioni delle quali avevamo già detto, in ogni caso in primo luogo, contro la procreazione naturale, necessaria per quella sorta d’immortalità numerica e limitativa, necessaria al nostro livello d’esistenza, Questo dalla deviazione principale, sino a tutto quelle succedanee possibili, cui avevano in parte accennato, in un procedere continuo d’insussistenze aberranti, anche di principio, se non sempre ancora di fatto. E non illudiamoci, questa lotta sarà quella lotta finale, che farà seguito a tutto un diuturno succedersi di corsi e ricorsi, di cadute, e di emendamenti.

Siamo all’origine di tutte quelle unioni, che la debilitazione improduttiva infera, nella sua incapacità di creare, e tanto meno di distinguere e definire, ma soprattutto di unire, viene a proporre ad un mondo oramai conculcato da tanti orrori. In attesa di quella suddetta manifestazione di potenza infera, propiziata ed attuata grazie alla velleità di un’acquisizione indebita, vale a dire, di una significazione invertita, con tutto il suo apparente potere effettuale, che dovrà alla fine intronizzare il principe di questo mondo, “l’Imperator del doloroso regno”, o piuttosto, in un senso più corretto, il suo Vicario conforme e fedele, a dominare l’umanità sventurata, ed il mondo intero.

Orrori indicibili ci attendono. La razza, la stirpe, il sesso unico, e con questi la religione dell’immondo, il regime del suo Vicario deforme assurto a dominatore preteso assoluto, con il culto impuro della dea madre vergine impura e prostituta pervasiva, dell’uniformità infera comprensiva, e del Signore della dissoluzione. Costretti ad immondi concubiti, a nutrirci d’insetti e vermi, strappati ad ogni previa significazione, ridotti ad artifici semoventi, a cadaveri animati da una forza impura, a meri diavoli sottoposti all’imperio del loro schifoso Sovrano, tutto questo è quello che possiamo solo immaginare, che ci verrebbe riservato da questa sorte iniqua e condanna aberrante.

Unica prospettiva di tutto quanto questo, l’istantaneo annientamento. Un annientamento questo propiziato, od anche attuato, dalla sua medesima inconsistenza intellettuale ed esistenziale, la quale pretenda di ricondursi direttamente a quello cui non si potrà mai ricondurre effettualmente, se non siccome il tramite discendente di un’eminenza finale trascendente, la quale gli si verrà a porre secondo i Suoi attributi conformi, vale a dire, siccome presenza di collera e di punizione divina negli inferi. Sarà dunque questo l’esito finale, anche se non certamente quello definitivo, vale a dire, quell’espansione totale la quale verrà a dare inizio alla nuova età aurea del mondo.

Al termine di tutto questo, di questi orrori indicibili progressivi, dei quali non abbiamo forse un termine, a dispetto di tutte le loro nefandezze e di tutte le loro perversioni, ma che abbiamo buone ragioni di reputare siano giunte almeno vicino alla loro consumazione finale e definitiva, almeno per questa nostra era presente, l’essere nella sua gloria. Vale a dire, l’essere Vicario, centrale e perfetto della produzione divina, il quale non farà se non attuare, o meglio ancora, confermare la legge primigenia, in tutta la sua comprensione, in tutta la sua altezza e profondità, tale da rigenerare il mondo in tutti i suoi aspetti, legge che Egli ha voluto sempre, tramite i Suoi Inviati, ed i Suoi Intimi.

Ci è stato imposto dunque di combattere sulla Sua via, conformemente alle nostre varie propensioni e vocazioni, a dispetto di questi orrori indicibili, di queste prevaricazioni oppressive, di tutte le menzogne spudorate, che lasciano il tempo che trovano, verso il Suo Termine, verso il Suo esito, quello della Sua vittoria finale, e della Gloria inconcussa di quel Sole sublime e radioso. Che dissiperà tutte queste tenebre immonde, tutte queste brutture invereconde, tutte le oppressioni proterve, che affiggono al presente questo nostro basso mondo liminale d’infelicità e di sventura, per ricongiungerci, nell’Altitudine dell’Altissimo, alla sublimità della Sua Luce Suprema.

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