Della Libertà (I)

di Ruhollah Roberto Arcadi.

Nel Nome d’Iddio Altissimo

Quello della libertà è un argomento del quale si è fin troppo abusato in questi ultimi tre secoli, ed oltre. È sino dal tempo dell’Illuminismo e della Rivoluzioni Americana e Francese, che se ne va blaterando il nome ripetendolo ossessivamente, quasi sempre a vanvera. Libertà, Eguaglianza, Fraternità, recita il motto iscritto sulle insegne insanguinate della ghigliottina, e delle stragi parigine e vandeane, con tanto di Marsigliese che incita a versare senza pietà il sangue“impuro” di tutti i pretesi e presunti nemici.

Ma già dapprima, d’oltre un secolo, l’oppressione inumana di un Cronwell si era imposta alla sua stessa nazione, alla Scozia, ed all’Irlanda, perpetrandovi, specie in quest’ultima contrada sventuratissima, stragi che hanno ben pochi riscontri nelle vicende umane, inaugurando in quelli regioni disgraziate l’era della pretesa libertà appunto, che a quel tempo se ne favellasse o no. Una duplice osservazione si rende d’obbligo a questo riguardo.

Si tratta del fatto, che la libertà è stata usurpata, e non soltanto nominalmente, dai suoi peggiori nemici, che se la sono del tutto appropriata, con spudorata menzogna, avendola peraltro ridotta ai minimi termini, ai suoi aspetti più abbietti e regressivi, che ne sono la negazione del significato eminente, siccome vedremo nel seguito di questo nostro scritto. Vicenda peraltro non isolata, che va messa in rapporto con fatto più generale dell’inversione dei significati e dei segni, propria di questa nostra età contemporanea.

Ci rammentiamo, a questo medesimo proposito, degli sconcertanti asserti del transfuga tedesco Thomas Mann, che sosteneva, al termine delle vicende che avevano portato all’ascesa ed alla caduta del nazionalsocialismo in Germania, che le tare da lui attribuite al predetto movimento sarebbero state dovute a suo avviso al fatto, che giammai il popolo tedesco, da Lutero in poi, e non sappiamo e non capiamo se anche prima, nulla ne avrebbe capito di libertà.

Tutto questo naturalmente ad onore delle stirpi anglosassoni, le quali ne sarebbero state campioni e vessillifere, in nome di un preteso reciproco rispetto, per non dire “tolleranza”, com’era già stato nella celebre lettera di Locke sull’argomento, a scanso delle possibili connotazioni negative del secondo vocabolo, rispetto certo quanto a lui indubbiamente dovuto al suo uso strumentale, ma che noi invece, per parte nostra, non ce la si abbia a male, non sappiamo proprio come, dove, od in chi ravvisare in quelle razze famigerate, e omicide, e prevaricatrici, e corruttrici. Ma è così, che va il mondo.

Anche un’attricetta, rifatta e prezzolata negli Stati Uniti d’America, baldracca allora non ancora fuori uso, a tutto onore del suo tradimento e dei suoi meretricii, non aveva nessun pudore di affermare, di vergognarsi di essere tedesca, non di essere una mercenaria americana, esprimendosi in pubblico, nella stessa Germania postbellica distrutta dalle bombe degli anglosassoni, in inglese, vale a dire, nella lingua dell’internazionale satanica e massonica.

Lo stesso Einstein esulò dalla Germania del Secondo Impero, per poi esservi richiamato inspiegabilmente ai fastigi universitari, da oscuro impiegatuccio di un ufficio brevetti qual era, perché aveva ai suoi occhi tutto l’aspetto di una caserma, per riparare dapprima nella borghesissima Svizzera degli usurai ginevrini, dei montanari già mercenari, oggi profittatori del lavoro altrui, in continua mobilitazione militare, quindi negli Stati Uniti, la cui indole aggressiva e militarista è nota ai più, per favorirne i piani sulle armi nucleari.

E non vogliamo certo quivi attribuire al popolo tedesco, così come a nessun altro popolo europeo moderno o contemporaneo, più di quanto esso non meriti in materia di libertà, al di là delle vacue pretese hegeliane in contrario, di cui in seguito, quantunque per gli stessi tedeschi, volendone qui eccettuare quelli contemporanei, oramai del tutto americanizzati, non ci voglia poi molto per farli grandeggiare al cospetto dei loro pur congiunti di sangue anglosassoni.

Sempre dunque in nome della libertà! Ma di quale liberta? È appunto questo il bandolo della nostra matassa. A quali dottrine, ed ancora più fondamentalmente, a quale sorta d’uomo costoro s’appigliano? Perché è l’uomo la scaturigine degli elaborati mentali, non viceversa, per quanto questi possano a loro volta reagire sul sostrato umano. Ora, chi potrà dirsi “libero”, nel senso genuino del termine? È a questa domanda, che dobbiamo rispondere.

Bisognerà qui sgombrare il campo da tutto un insieme di travisamenti, dovuti al fatto che si è applicata la nozione di libertà specialmente al dominio pubblico. Già questo rispetto, quantunque non ne fosse certo l’unico, era presente ed operante negli scritti di Cicerone, che lo aveva anche mutuato dagli Elleni, dei quali si era peraltro sforzato di superare il particolarismo civico. Non che nell’Ellade le cose fossero sempre andate così.

Si pensi ad esempio alla reazione socratica e platonica contro la sofistica, nella quale si diceva sì di libertà pubblica, ma partendo da un ben più alto punto di vista, come avremo modo di vedere più oltre. Fatto sta che Cicerone molto insiste su questa concezione pubblica della libertà, che avrà certo la sua ragion d’essere ed il suo luogo, ma andrà riferita a principi ben più elevati, come egli stesso si rendeva peraltro conto, com’è perspicuo dal suo “De Officiis”.

Concezione che avrà significativamente il suo influsso e le sue tracce sino in Dante, allorquando questi, prima dell’ascesa alla trascendenza divina, porrà Catone Uticense, esponente di riguardo della concezione pubblica della libertà, a guardia della dimora della purgazione alle vie dell’ascesa. Il che non significa certo, che la sua concezione della libertà non fosse in realtà ben più alta, essendo radicata, com’era per Platone, nella trascendenza divina.

Fatto sta che, come già dicevamo, della libertà se n’è fatto sin troppo abuso, sino al punto che i suoi pretesi vessilliferi, a mo’ d’esponenti di un’umanità presunta superiore, altro che nazionalsocialismo, se ne vanno per il mondo, ad imporla immancabilmente con le buone o con le cattive, perché le loro maniere, quando non siano le stragi ed i genocidi delle bombe delle loro guerre d’aggressione, sono quelle di una corruzione suadente, per lercia che possa essere.

Già gli europei, specie quelli dell’ovest del continente, prima ancora dei loro consanguinei nordamericani, suicidatisi nella materia, si erano dati, con tutti i mezzi vomitati dalla voragine luciferina, ad imporsi con la violenza a popoli che avevano conservato un qualche ordinamento trascendente. I quali ancora cinque secoli or sono, come in Turchia, in Persia, in India, in Cina, erano loro superiori anche sotto l’aspetto di quegli artifici meccanici, che poi vomiteranno il fuoco dell’Inferno sulle vittime designate di quelle contrade sventurate.

I Cinesi del passato, i quali ben prima degli europei avevano conosciuto la polvere da sparo, così come molti altri ritrovati, se ne avvalevano, ancora al tempo dei Ming, nel XVI secolo dell’era volgare, per i loro fuochi d’artificio, che ne coinvolgevano, nel corso di una sola festa, una quantità più volte superiore a quella necessaria per una singola guerra degli europei. I quali invece se ne avvalsero per costruire proprio quei cannoni, i quali avrebbero quindi imposto spietatamente la loro “libertà” a quei popoli disgraziati.

Ora, chiediamocelo ancora una volta, che cosa sarà mai questa libertà? Sarà forse il libero corso concesso alle libidini più ripugnanti di donne ed uomini o tra loro, oppure all’interno della loro stessa cerchia, ed ancor di peggio, sulla via dell’abominio? Oppure sarà quella produttiva e finanziaria, il cosiddetto “libero mercato”, imposto con le buone o con le cattive alle singole sovranità, quali che esse siano, anche quando non lo vogliano subire?

Sarà quella di una volontà popolare del tutto inesistente, perché un coacervo di meri individui non potrà avere nessuna volontà, prerogativa invece della singola persona, laonde il potere se ne ridurrà a quello di chi tira le fila da dietro le quinte, esercitandolo nel modo più irresponsabile, più sfrenato, più scellerato, i cosiddetti “poteri forti”, più o meno occulti, dei quali oggigiorno tanto si ciarla, ma quasi sempre a vanvera, senza averne nessuna nozione di causa?

Sarà forse quella che il presunto cosiddetto “stato di diritto” concederebbe ai suoi cittadini, nella pretesa di porsi al di là di ogni arbitrio individuale, ma in realtà affidandoli all’arbitrio di consessi di corrotti ed ignoranti, privi di ogni qualifica nei confronti della realtà della legge, i quali, invece di studiarne la natura, si danno ad inventarsela di sana pianta, gettando nelle pene più inverosimili i loro sudditi sventurati, sia pur ignari di tutto questo, gli uni e gli altri?

Sarà forse quella di una ragione, velleitariamente ed illusoriamente del tutto avulsa dalle funzioni superiori della persona e dell’intelligenza umana, così come da tutta quanto il dominio della trascendenza, che s’arroga in questo modo il diritto, sproloquiato che v’abbia sopra senza costrutto e senza senso, d’ordinare a suo libito tutto il mondo, sfruttandolo senza nessuna misericordia, con tutte le alterazioni, ed i disastri che inevitabilmente ne conseguono?

Nulla di tutto questo. Per cercare di capire di che cosa si tratti, bisognerà tenere presente il fatto, che tutti quelli suddetti sono in effetti riguardi derivati e tralignati di aspetti parziali della libertà. La quale sarà certo una realtà composita, ma non certo nel senso di un grumo o di un coacervo, quanto invece di un ordine, di una successione di gradi subordinati e sopraordinati, nel quale quelli superiori, danno senso e luogo a quelli inferiori.

“Vi sono gradi presso Iddio”, recita il Sacro Corano, (III, 163 ), e questo non soltanto a proposito dei livelli di beatitudine del Suo Giardino e della Sua prossimità, ma anche, sul fondamento del cosiddetto “scorrere” dei suoi versi, il quale consente d’applicarli a tutto quanto sia possibile, anche e soprattutto, in un senso eminente, per quel che concerne i livelli dell’essere, ai quali, com’è che stabilisce il principio dell’identità tra conoscente e conosciuto, corrispondono le stazioni sapienziali degli uomini di conoscenza, nel verso dell’ascesa all’Intimità dell’Altissimo, sia magnificato ed esaltato.

Non sembrino peregrine considerazioni siffatte, come avviene agli occhi di una sorta d’uomo, il quale purtroppo essendovi pressoché disavvezzo, ne trae motivo o di meraviglia o di scherno. Perché invitiamo, a questo medesimo riguardo, ad addurre l’argomento in contrario:”Adducete il vostro argomento, se siete veritieri”, com’è che recita appunto il Sacro Corano (XXVII, 54 ) Perché noi invece, per parte nostra, a parte la Rivelazione, abbiamo i nostri argomenti.

Negare i livelli molteplici dell’essere, con le corrispondenti stazioni di conoscenza e realizzazione, condurrebbe all’assunto evidente, in primo luogo, di negarne la possibilità, almeno di fatto, se non di principio, la cosiddetta possibilità “logica”, con linguaggio mutuato dalla Scolastica, il che richiederebbe un impedimento, o reale, o di principio, ovverosia un argomento in contrario, senza cui non vi sarebbe ragione sufficiente, a che ciò debba avvenire.

Non soltanto, ma date certe condizioni, per di più finite e limitanti come le nostre, pretendere che non vi sia nulla oltre, sarà riconoscere che vi sarà oltre l’essere in quanto tale, non sottoposto a nessuna condizione, dato che “sia l’essere”, come afferma Parmenide, mentre invece il nulla, per parte sua, a tutto sfugge dandogli luogo. Tutto questo a prescindere da ulteriori condizioni limitative, per il cui complesso varrebbe il precedente medesimo discorso.

Ora, quello che è rimarchevole a questo medesimo riguardo, è che i livelli e le stazioni superiori dell’essere e dell’esistenza, e della realizzazione includono in una guisa eminente, vale a dire, ad un livello di maggiore unità e semplicità, i livelli inferiori: essendo questo il principio sadriano per cui l’essere s’impoverisce e si debilita discendendo, dalla sua previa intensità, sino a ridursi a mano a mano all’ombra di sé medesimo; così come dall’altro canto, i livelli inferiori saranno solo immagini, suppositi indeboliti di quelli superiori.

Ora, che cosa c’entra tutto questo con la libertà? Vediamo quivi d’esaminarne la nozione, a procedere da quella corrente e volgare. La nozione più comune di libertà consiste, a nostro modesto avviso, nell’assenza o totale, od almeno parziale di limitazioni, riguardando queste ultime sia l’essere, sia l’agire: è questa la concezione non solamente più comune, ma anche fondamentale della libertà, a prescinderne dalle applicazioni.

Tant’è che, per un mondo quale quello occidentale che ha rinnegato del tutto o quasi la sua tradizione rivelata o tramandata, essa si ridurrà al nostro livello d’esistenza corporeo, o tutt’al più ai suoi prolungamenti tellurici, vale a dire, ad essere e ad agire in esso, tenendo conto del fatto, che una concezione siffatta sarà sempre costruttiva, vale a dire, produttiva dell’essere stesso della persona essente ed agente, anche nei casi di un’indifferenza apparente.

Dato che non via sia equipollenza completa tra gli enti, il che li identificherebbe senza nessun residuo, si avrà in questo modo, che si avranno in ogni caso, anche in quelli d’indifferenza apparente, operativa o no che essa sia, un più, oppure un meno d’essere, dove il linguaggio quantitativo viene quivi traslato alla qualità esistenziale. Più e meno, i quali s’addurranno alla qualità esistenziale, definendola ulteriormente, ampliandola o sminuendola, in una guisa la quale sarà o permanente, oppure transeunte.

Andrà osservato, com’è che in queste condizioni, un’aggiunta d’ordine corporale avrà in primo luogo effetti permanenti, al di là della sua sembianza transeunte, per la contro reattività della sostanza dell’inerenza, che le addurrà un atto, od un marchio, od essere permanenti, anche a prescinderne della disposizione. In secondo luogo, mercé dell’esuberanza corporea, con la sua opacità significativa, almeno nello stato presente, essa tenderà inoltre a ridurre, quantunque velleitariamente ed illusoriamente, i legami col sopramondo.

Ma si renderà qui opportuna un’ulteriore osservazione. Il corpo è per l’essere umano, sempre avvalendoci del linguaggio della scolastica, una ”perfectio secundum quid”, vale a dire, una perfezione soltanto sotto un certo riguardo, non assoluta, “perfectio simplex”, nel senso che, anche se per l’uomo nel suo stato presente è motivo di perfezione avere un corpo, la cosa non sarà certo assoluta, essendovi esseri ben più perfetti dell’uomo del tutto scevri di corpo, e non ce l’abbiamo con noi, a questo riguardo, materialisti e scientisti.

Non solamente, ma che cosa sarà mai la materia? Priva che sia per assurdo di forma, come sarà possibile percepirla, anche non dalla sensazione diretta, ma per induzione sperimentale? Qui intendiamo il significato della percezione in un senso generale, laonde anche ammesso che esistano livelli di percezione inferiori al nostro livello d’esistenza, essi saranno di un modo definito e formale, senza nessuna indefinitezza che non sia quella identica al loro stesso stato, andandone dunque definita a questo medesimo riguardo la percezione.

Sarà a questa medesima stregua, che la cosiddetta materia avrà a che vedere col nulla, siccome afferma anche Molla Sadra, identificandoglisi in un qualche modo, dato che vi sia un nulla puro, quindi un nulla relativo e contratto dell’identificazione di ente e non ente, ed un nulla quanto alle forme di un dato livello, il nostro livello dell’esistenza. Essendo così, che l’amplificarsi corporale eccessivo avrà per sua conseguenza ineluttabile una crescente materializzazione, vale a dire, una nullificazione, relativa oppure assoluta.

Per la questione suddetta delle perfezioni relative, non sarà peraltro affatto detto, che nel nostro stato presente sia d’obbligo una rinunzia alla materia, più o meno completa, come pretenderebbero invece certe esagerazioni fuori di luogo. Essendo il corpo una perfezione relativa, andrà osservata, per quel che la concerne, una qualche misura, una certa via di mezzo, dato che essa in questa guisa debba costituire il primo gradino dell’ascesa perfettiva, senza ostacolarla, ma rendendola in ogni caso possibile, quanto al nostro stato presente.

Laddove invece, per le perfezioni assolute, quanto alla totalità dell’essere od all’universo creato, per esse non si avranno limitazioni o vie di mezzo: non ci sarà limite, o misura a cui attenersi, nell’osservanza della Legge d’Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, nella Sua servitù ed adorazione, o tra il nulla e l’essere, tra la realtà e la sua falsificazione. Condannando il Sacro Corano quanti, quando ritengono di non avere più bisogno d’Iddio, ne sia esaltato l’essere, si riducono a seguire una via di mezzo nella Sua servitù adorante (XXXI, 32).

Cerchiamo di trarre una qualche conclusione da tutte queste premesse. Avevamo visto, che l’assenza di limiti, intesa come essenza della libertà applicata a questo nostro basso mondo, nel senso suddetto della loro eliminazione quanto ad esso, non porterà in primo luogo, se non a rescindere quantunque velleitariamente ed illusoriamente, sotto il riguardo operativo, ma non esistenziale, i legami col sopramondo, col dominio della trascendenza.

Provocando inoltre anche l’effetto di una continua debilitazione esistenziale, nel verso di far precipitare l’uomo da ultimo negli strati più oscuri, tellurici ed inferi, dell’esistenza creata, quelli interni alla definitezza materiale stessa, e quelli ancor più larvali, indefiniti, e più propriamente dissolutivi: “Abbiamo creato l’uomo nella più alta postura, quindi lo abbiamo rigettato nell’infima inferiorità”, recita a questo medesimo proposito il Sacro Corano, XCV, 4-5.

Va osservato a questo medesimo riguardo, che un’indefinitezza siffatta sarà siccome un’immagine capovolta dell’assenza di limiti trascendente ed originale, della quale riprodurrà, in un qualche modo capovolto ed illusorio, appunto la pretesa e presunta “libertà”: “il corpo è mio e lo gestisco io”, spazio alla droga, arbitrio d’aborto, licenza d’adulterio e libertinaggio, evviva l’inversione del coito, con tutte quelle alterazioni sessuali ulteriori, le quali sono state scrupolosamente registrate, nell’attesa d’andare anch’esse per la maggiore: “Tempo vicino m’è già nel cospetto, cui non sarà quest’ora molto antica…”.

Dulcis in fundo, crimini di cui si richiede l’impunità o la benedizione, e stragi e genocidi, se compiuti da anglosassoni e sionisti, o dai loro manutengoli, pur che non mettano in discussione quella compagine sociale secolare, che si fa garante di tutto questo. E si osservi, dopo che la morale era stata privata, a partire dalla Riforma Protestante, delle sue radici e del suo significato trascendente, attuativo nel verso dell’essere, per perdere ogni suo senso, riducendosi appunto ad un ambito sociale, peraltro affatto perverso.

Che tutto questo, al di là delle pretese assurde dei propugnatori dei diritti dell’uomo in un senso meramente umano ed individuale, od addirittura subumano, in un verso tellurico ed infero, del tutto contrapposto alla Legge Rivelata, o addirittura ad ogni legge, non possa portare l’uomo se non all’”infimo dell’inferiore”, dalla predetta “postura eccelsa” del Sacro Corano, in cui Iddio, sia magnificato ed esaltato, lo aveva posto ab origine, non c’è dubbio, date le premesse suddette, peraltro corrette ed incontrovertibili.

Che dall’altro canto la libertà non possa venire intesa, in questo modo, se non in un verso trascendente, sarà indubitabile, per le medesime ragioni. Nel senso che i livelli superiori dell’essere andranno intesi, in tutta la loro maggiore estensione ed intensità, esistenziale, siccome l’identità, l’essere stresso di quelli inferiori. È in questo modo che è quanto ad essi, che andrà intesa e ricercata la libertà, nel verso dell’assenza di limiti, la quale sarà appunto pienezza dell’essere e dell’agire, in un senso progressivo ascendente.

È a questa medesima stregua, che all’uomo spettano appunto “le vie dell’ascesa”, della quali Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, come recita il Sacro Corano, è il Detentore, LXX, 3. Ascesa che andrà pertanto intesa, non siccome ad un qualcosa di altro da sé, nel senso di quella pretesa “eteronomia” esistenziale e legale, contro la quale oggigiorno si va tanto ciarlando del tutto a vanvera, quanto invece nel senso di sé stessi, della propria identità autentica, della propria perfezione, della propria pienezza d’essere.

Ascesa che peraltro sarà ad una realtà sussistente, a parte la sua trascendenza assoluta indefinibile, nel senso che le stazioni conoscitive e realizzative del viaggio attuativo esistenziale, dell’”itinerarium in Deum”, per dirla con Bonaventura da Bagnoregio, andranno a riflettersi e ad identificarsi con quei livelli superiori dell’essere esistenti da sempre, ab eterno, od in un tempo eterno, l’”aeviternum” subordinato all’Eterno di Tommaso d’Aquino.

Non nel senso che l’uomo debba creare ex novo, a partire in generale da una previa indeterminatezza ed indigenza esistenziale, in un suo preteso progresso indefinito, nuove realtà. Le quali d’altra parte, proprio in virtù dell’incapacità d’adergersi di quella indeterminatezza materiale presunta primordiale, non sarebbero giammai in grado di esulare da quelle forme che vi galleggiano sopra, delle quali quella non sarà mai capace in definitiva, al di là di ogni pretesa, di dare ragione, né tantomeno di produrle comecchessia.

Tanto che alla fine, nella loro pretesa indifferenza, che esse dovranno a questa sua fondamentale incapacità, non faranno altro se non ricondursi ancora a quella medesima indeterminatezza donde pretendevano di scaturire, nel senso della piramide tronca della dottrina massonica. Oppure di certe immaginazioni, strane, ridicole, e perverse che preconizzerebbero nell’indeterminatezza fetale sottesa alla materia prima, il presunto fine della pretesa evoluzione umana, com’è esemplificato in certe produzioni ad uso volgare.

Alla qual cosa si ridurrà in effetti, se ben soppesato, quel “Punto Omega” di Teilard de Chardin, tanto decantato, che si pretenderebbe debba essere il termine dell’evoluzione dell’uomo scimmia, dell’”homo sinensis” da lui scoperto, guarda caso, e male interpretato, con un preteso perfezionamento delle fallaci immaginazioni darwiniane. Perché in effetti, laddove manchino i termini intermedi trascendenti della discesa creativa, premessa necessaria e medio dell’ascesa iniziatica, nessun itinerario trascendente sarà mai possibile.

Perché Iddio Altissimo, Immenso Ne è il Nome, ha creato il mondo sì per gradi, ma non soltanto sotto un riguardo temporale, il che non avrebbe nessun senso per quel che concerne la trascendenza temporale e la Sua Onnipotenza. Bensì ab origine, sia sotto il riguardo dei domini superiori dell’esistenza, quanto invece, più in generale, sotto il rispetto del procedere di tutta quanta la sequela dei livelli ordinati, inferiori e superiori, ivi incluso quello corporeo e quelli immaginali, dei quali avevamo appunto già detto poc’anzi.

Sarà in questo modo che l’essere umano, dalla sua stazione primordiale di prossimità divina nella quale aveva suggellato il patto originale di sottomissione a Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, come recita il Sacro Corano, VII, 172, avendo accettato quel “deposito” divino, rifiutato da cielo, terra e montagne, XXXIII, 72, si ritroverà in uno stato di minorazione apparente. Dalla quale gli sarà dato di risalire, nel senso dell’ascesa, non più creativa, ma iniziatica, che succede appunto alla previa discesa creativa da Lui.

Vale a dire, l’ascesa della sua varia iniziazione ai segreti delle conoscenze divine presenziali, non argomentative, propiziate e mediate da quella luce superna dell’Uomo Perfetto ed universale, che ne costituisce la scaturigine ed il destino. Sarà dunque questo, a nostro modesto avviso, il senso della libertà, quello di un potenziamento dell’essere, dal contingente al sempiterno, cioè a quello che è sempre esistito nei confronti della nostra contingenza miserevole, in un punto semplice molteplice, scaturigine dell’Eternità.

Si porrà peraltro, a questo medesimo riguardo, una questione di grande rilevo: concesso che sia dato d’ascendere nel post mortem, che ne sarà dunque quanto a questa nostra vita mortale? Il fatto è, che l’ascesa deve incominciare qui ed adesso, per concludersi lì e dopo, vale a dire, in un dopo sempiterno, come avevamo già visto dianzi, essendo concesso, già in questa condizione, di assurgere ai livelli più alti, in un senso più propriamente “iniziatico”.

Già in questa nostra vita mortale, ci si propone il compito dell’emendamento e della rettificazione del nostro essere, che lo porterà sulla via dell’uniformazione ai suoi destini originali. Il fatto è, che nell’essere umano sono presenti tutta una serie di realtà, sia immaginali, sia trascendenti, sopraordinate nel senso dell’essere a questo nostro basso mondo corporale, come una serie di corpi successivi, percepibile agli uomini di conoscenza.

L’uomo non è certo quella creatura miserevole immaginata da Kant, sulla scorta dell’interpretazione riduttiva protestantica della dottrina cristiana, ridottasi ad arzigogolare quanto alla mera materialità, per apparente o sostanziale che possa essere, tutt’al più postulando una qualche trascendenza, peraltro inconoscibile, quanto al dominio morale, vale a dire, ad un ambito il quale, meramente normativo, nulla ne saprà di realizzazione esistenziale.

Elucubrazioni miserande, le quali diedero poi luogo all’immaginare perverso di un Hegel, che estrapolò il vuoto indeterminato ed informe dell’”io penso”kantiano, per costruirsi l’ascesa del suo preteso “spirito” dal presunto vuoto della supposta mente universale divina. Vale a dire, o dal nulla puro, o dal mero essere indeterminato a cui è sotteso, oppure dalla materia prima sovrapposta all’essere infimo, sino ai fastigi della sua “filosofia”, culmine dello “spirito assoluto”, dopo i momenti dell’arte e della religione.

Passando in precedenza, per il tramite dello “spirito oggettivo”, all’asserito fastigio civile del Regno di Prussia, laddove libertà personale e comunitaria si sarebbero identificate, senza estinguersi l’una l’altra. Tanto che lo stesso Heidegger si limiterà a prendere l’uomo kantiano tale e quale, per farlo assistere passivamente alla manifestazione dell’”essere”, cioè sempre dell’’essere infimo indeterminato, l’”esse simplex”, che Tommaso d’’Aquino distingueva dalla “perfectio simplex”, dalla perfezione trascendente.

Questa per dirla sulle tare germaniche, le quali hanno affetto, dai tempi del soggettivismo ispirato ed imposto dalla Riforma Protestante, la concezione della libertà in Occidente, favorendo peraltro da ultimo la reazione estrema, ultra regressiva, di marca anglosassone, ovverosia degli stretti congiunti di sangue, com’è che appunto già dicevamo poc’anzi. Sul fondamento di quel “genio” della razza che, seppure non coinvolgendone tutti i componenti, costituisce nondimeno una realtà innegabile, sotto il riguardo della dottrina e dell’esperienza.

Dicevamo appunto poc’anzi, che l’uomo autentico, al quale compete, come affermano Guenon e Molla Sadra, la centralità complessiva esemplare del suo livello d’esistenza, sarà quello in cui certe dimensioni e certe facoltà superiori, che ne costituiscono il prolungamento nel verso dell’ascesa alla trascendenza, solo a lui dischiuse mercé della sua centralità, vengono realizzate, siccome da potenza ad atto, vale a dire, da essere ad essere, già in questo basso mondo.

L’essere umano viene inteso comunemente, volgarmente, e riduttivamente, come sensibilità e ragione che si sovrappongono alla mera corporeità, così come alle funzioni vegetative. Dicevamo peraltro, che qui si tratta, più ed oltre che di funzioni, di livelli dell’esistenza. Da ciascuno di questi livelli, nella singola persona umana, scaturiranno quelli inferiori, a prescindere da quella sostanza materiale sottesa, che in definitiva non avrà una sua propria esistenza.

L’essere della cosiddetta forma corporea sarà appreso alla superficie cosiddetta materiale del mare tenebrarum della compiuta dissoluzione, poi la realtà vegetativa, la quale darà al corpo il suo primo moto e l’accrescimento, quella sensitiva ed animale, darà i movimenti ulteriori, con le sue potenze concupiscibile ed irascibile; e da ultimo la ragione discorsiva, del tutto subordinata all’intelligenza intesa in un senso superiore, vale a dire, all’intelletto.

Sarà dunque la ragione l’istanza estrema dell’essere umano, come pretenderebbero moderni e contemporanei, e come sosteneva anche Kant, che ha esemplificato la cosa, dandole elaborazione dottrinale a furia di titoli altisonanti e prolissi, ai quali ben poco aggiungono alla fin fine le sue considerazioni dottrinali? Osserviamo in primo luogo che, così come notava anche Kant, la ragione è legata alla sensibilità, aggiungendole tutt’al più un riguardo ordinativo, ad essa non riducibile, ma che in ogni caso fa ad essa riferimento.

Questo aspetto ordinativo presuppone peraltro un altro riguardo, che non è detto sia una realtà effettiva, ma come “in sonno”, che è quello dell’intelletto cosiddetto “attivo”, da distinguersi da quello trascendente ad esso sovraordinato, l’intelletto “in atto” secondo Molla Sadra. Intelletto, che promana direttamente dall’essere trascendente, essendone funzione, quantunque inerisca, a differenza di quello in atto, alla singola persona umana.

Promanandone peraltro taluni aspetti non legati ai sensi, fondamentalmente il principio d’identità, principio primario da non confondersi con quello di contraddizione, da esso derivato. Che non andando subordinato alla corporeità, né essendo riducibile ad un riguardo meramente formale e reduplicativo, sarà da ricondursi ad alcunché di superiore, sotto il riguardo sia dell’esser sostanziale, depositario degli esemplari del suo mondo, dei quali sarà a sua volta ricettivo, sia dell’azione e dell’influenza sui livelli inferiori.

Si tratta dell’intelletto propriamente detto, unità di tutte le potenze umane, come già asserivano Molla Sadra e Tommaso d’Aquino, potenze che non vanno intese in senso aristotelico, di mera propensione, ma di fondamento esistenziale effettivo, mercé della sua esemplarità centrale quanto al suo livello d’inerenza. Tanto che una forma corporea, come affermavano i due sapienti suddetti, in presenza ed in assenza dell’anima umana non sarà più la medesima.

Il che la dice lunga sulle pretese della medicina moderna, nata dalla dissezione dei cadaveri, vale a dire, dallo studio di forme equivoche rispetto a quelle del vivente, tentando di ridurre prima quest’ultimo ad un reperto inanimato, per poi assumerlo nella guisa di mera appendice di una macchina, Per non dire degli orrori di quella scienza molecolare, del tutto priva di principi vitali, che si sforza anch’essa di derivare la vita dal vuoto e dalla materia.

Adesso, per ritornare al nostro discorso precedente, la libertà non potrà certo essere quella di un inferiore, il quale limiti e trascini il superiore, ma quella invece di quest’ultimo, nella sua direzione delle forme inferiori, secondo quella che nella corretta concezione cattolica tradizionale veniva denominata come la “rettitudine adamica originale”. Libertà dai limiti inferiori dunque, nell’essere e nell’agire, siccome appunto già dicevamo prima.

Rettitudine questa, la quale viene compromessa da uno stato di progressivo sopore dell’intelletto, che lascia liberi solo i fumi ed i furori delle potenze inferiori, a cominciare dalla sensibilità, che finiscono col trascinare l’ineludibile aspetto inferiore peculiare alla ragione, dato che un essere umano meramente bestiale sia in definitiva inesistente, eccezion fatta per certi casi estremi, essendo peraltro più facile per l’uomo ridursi ad uno stato sub bestiale.

È questa la cosiddetta “anima imperiosa”, di cui il Sacro Corano, XII, 53, vale a dire, concupiscibile e passionale, che trascina l’essere umano al male, ovverosia alla debilitazione esistenziale, con la discesa di livello dalla sua “ottima postura” originale nella quale Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, lo aveva creato, all’infimo degli inferiori, in cui lo ha rigettato da ultimo, Sacro Corano CXV, 4-5, mercé dell’efficienza del suo libero arbitrio.

Essendo qui che possiamo dunque distinguere due libertà, ammesso che di libertà si possa ancora dire nel secondo caso: in primo luogo, quella radicata nell’intelletto, vale a dire, dell’essere umano incentrato sulla sua eminenza attuativa esemplare, inclusiva non soltanto delle sue scaturigini personali, ma anche del suo stesso mondo. Dato che detto intelletto sia un essere inerente sì, ma non legato alla corporeità, alla quale si sovrappone sì definendosi e moltiplicandosi, ma in quanto forma pura, in un linguaggio più rappresentativo.

Forma pura che sarà dunque l’inerenza di forme, di tutte le forme del suo mondo rese quivi pure, che se ne riflettono nell’intellettualità, in conformità con l’identificarsi eminente di conoscente e conosciuto, ma secondo un’accezione che non lascia più posto ad ulteriorità oggettive, in un’eminenza esistenziale che le comprende nell’estensione compiuta del loro essere, non lasciando in questo modo loro luogo se non affatto incidentalmente.

Oltre a questa libertà, avremo quella pretesa della concupiscenza, della passionalità, della sensibilità, per occultate che possano essere in quello che sarà il loro fedele contraltare, la ragione del razionalismo, indebitamente generalizzata, con tutti i suoi aspetti deteriori. Basti qui osservare che oggigiorno tutto tende a ridursi ad avere dei “buoni sentimenti”, un “buon sentire”, tra contorcimenti passionali vari, i quali lasciano il tempo che trovano.

Nel senso che, anche quando si vociferi, senza nessun discernimento, di “amore universale”, la cosa si ridurrà in definitiva tutt’al più al traslato di un sentimento nel verso dell’astrazione razionale la quale, privata che sia, velleitariamente ed illusoriamente, vale a dire operativamente, ma non esistenzialmente, del riferimento intellettuale ed alla trascendenza nel suo complesso, solo allora orienterà detto “buon sentire” con tutto il suo immaginare.

Ed è qui che s’impone una qualche breve considerazione su tutto quell’astrarre perverso, il quale si è imposto in questi ultimi secoli e scorci delle vicende umane, nella fattispecie in Occidente. Il fatto è che tali astrazioni, tratte dalla corporeità senza la consapevolezza della loro necessaria scaturigine trascendente, si riducono a mere ombre informi, buone per tutte le bisogne: fratellanza, uguaglianza, diritti umani e, dulcis in fundo, libertà appunto.

Libertà senza nessuna regola concreta che faccia da tramite alla trascendenza, seppure provenendone, sul fondamento di una scaturigine in ogni caso reale, quantunque non percepita. È come una similitudine invertita, che si proietta in direzione dei mondi tellurici ed inferi, contraffacendo quelli superiori nella sua indefinitezza apparentemente illimitata, che ne darà appunto l’illusione. Attirando le moltitudini umane col potere d’attrazione del vuoto, sostituito che sia velleitariamente allo stesso essere.

Anche nel caso di pretese d’obiettività scientifica, come nel marxismo, la meglio l’avranno pur sempre queste vane effigi razionalistiche, che la fecero da già padrone nei sommovimenti inglesi prima, quindi in quelli americani e francesi. Un’esemplificazione pressoché perfetta delle quali è contenuta negli scritti fanatici e visionari di un Giuseppe Mazzini, che esaltava all’odio ed all’omicidio, sul fondamento di un bene immaginario, privo in definitiva di contenuti reali.

Procedendo peraltro da premesse affatto distorte e non appurate quando alla direzione del movimento delle vicende umane, così come sulla realtà effettuale dei suoi tempi, la quale non esigeva certo un sovvertimento, quanto piuttosto una qualche rettificazione, oppure di essere sostituita da forme rivelate più valide ed operative nel senso dell’orientamento nel verso della trascendenza, la qual cosa sfuggiva del tutto al suo limitato orizzonte mentale.

Dicevamo dunque, che qui vengono a distinguersi due libertà contrapposte: l’una reale ed effettiva, dell’intelletto, dall’anima passionale, o meglio, sull’anima passionale, per la trascendenza, l’altra illusoria e velleitaria dell’anima passionale dall’intelletto, per le sue libidini ed il suo tralignamento, che in parte lo nega, in parte invece lo trascina nel vortice delle sue forme inferiori, riconnettendola da ultimo ai mondi tellurici ed inferi.

Quest’ultima viene ad essere la libertà propugnata oggigiorno in Occidente, avente le sue scaturigini nell’Umanesimo e nella Riforma Protestante, negatrice quest’ultima di ogni rapporto attuativo con la trascendenza, anche se non della trascendenza stessa, con una convergenza col primo, nel porre al centro del mondo un uomo ridotto ai minimi termini, se non all’infimo dissolversi. Questo a prescindere da certe deviazioni anteriori, riconducibili ad elementi del mondo precristiano, ellenico e romano, ed a previi affioramenti inferi.

Sarà qui da notarsi, che entrambe queste due libertà avranno un riscontro, come dicevamo, sia effettivo, sia esistenziale. La seconda nel verso dell’indeterminatezza sottesa all’esistenza, col conseguente moltiplicarsi, al nostro livello d’esistenza, degli atti illeciti, ovverosia lesivi della dignità dell’essere umano, purché essi non siano in contrasto con le direttive di quei poteri, i quali ne garantiscono la sussistenza, almeno per ora, nell’attesa della maturazione delle sue condizioni nel verso dei suoi esiti dissolutivi estremi.

Potenza apparente dunque la sua, non reale, legata sovente a quella ricerca di poteri, la quale è talvolta la controparte d’incapacità intellettuale, o del fallimento quanto all’adergersi esistenziale, tanto che venendo siffatti poteri ricercati di per sé stessi, verranno a ridursi a quello stato inferiore e dissolutivo, contraltare speculare del potere generativo concesso da Iddio Altissimo, ne sia esaltato l’essere, ai suoi approssimati, ed alle genti del Giardino.

Potere quest’ultimo, che corrisponde all’assurgere ai livelli superiori dell’essere, con la loro continenza esistenziale, semplice ed eminente, dei livelli inferiori, sui quali eserciteranno dunque quell’efficienza reale, dovuta al loro ufficio causale secondo, subordinato e mediante nei confronti dell’efficienza superna e Suprema. Livelli donde i suddetti poteri, distaccati che ne siano, si riducono a farsi fagocitare dall’efficienza apparente dissolutiva.

Dicevamo dunque, che la libertà occidentale agisce nel verso del tralignamento, tanto da menomare gradualmente l’uomo, addormentandone la coscienza, vale a dire la percezione del reale e la volontà del bene, in modo che non soltanto non se n’avveda, ma addirittura finisca col menare vanto di uno stato, del quale dovrebbe provare solamente vergogna, a tutto suo ludibrio, alla qual cosa lo hanno ridotto le sue “magnifiche sorti e progressive”.

È questa, siccome dicevamo, una pretesa “libertà” dall’intelletto, quindi da Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, centro attuativo del suo orientamento, da parte dei livelli inferiori dell’anima passionale, vale a dire, di questo nostro basso mondo in senso diviso, non come segno dell’ascesa, e dei livelli dissolutivi inferiori ed infimi dell’esistenza, conformemente a quanto ebbe ad affermare l’Imam Alì, la pace su di lui, in un suo celebre detto.

Ora questa medesima anima avrà più aspetti, primo tra tutti quello intellettuale eminente, per il quale l’uomo “vacat deo”, attende a Iddio Altissimo, eccelsa Ne sia la lode, a procedere dall’eminenza presenziale, più che argomentativa, delle scienze divine, vale a dire, dalla contemplazione dei Suoi attributi. Ma esso avrà anche conseguenze per quel che concerne la vita mondana, sia sotto il riguardo comunitario, sia sotto il riguardo personale.

Sarà a questa medesima stregua, ovverosia a partire da questo riguardo eminente, che sarà possibile stabilire una serie di condizioni, che definiscono la legge divina. Condizione previa, sarà la promulgazione della Legge Rivelata, con la sua conseguente osservanza, scaturigine divina per il tramite dell’intelletto primo trascendente, l’intelletto in atto, di quell’intelligenza prima, supposito della luce muhammadica, personificata in Gabriele, la pace su di lui, che non ne va considerato, se non siccome un aspetto ed una funzione.

Va rilevato, che l’osservanza della Legge Divina Rivelata, che sarà un aspetto dell’identità stessa eminente dell’essere umano, senza pretese “eteronomie”, avrà per lo più riguardi i quali sono in pieno e netto contrasto con quella libertà o secolare, oppure tellurica ed infera, che viene assicurata ed imposta all’uomo contemporaneo, specialmente nelle società occidentali, nel senso di un intorbidarsi di quelle definitezze formali e significative, inizio dell’ascesa attuativa nel verso della trascendenza e della prossimità divina.

Tanto da bruttare non solo moralmente ed incidentalmente, ma persino sostanzialmente il mondo, prostituendolo al libertinaggio, all’inversione, all’abominio sessuale, al crimine generalizzato, come la strage ed il genocidio, ancor più che individuale, all’impunità del criminale, ed addirittura della sua esaltazione siccome vaso maggiore della pretesa misericordia divina, e così via dicendo, perché in effetti questa lista sarebbe lunga.

Si tratta inoltre dei cosiddetti “diritti umani”, astratti e separati dalla legge, e ad essa contrapposti, specialmente a quella sacra, volti come sono a corroderla ed invalidarla, sopraordinati che le siano. Nel senso di quell’indifferenziazione sottesa alla forme, pretesa primeva e primaria, ma priva di una sussistenza, che non sia quella delle varie formalità e sostanze, che se ne ripropone siccome il termine nullificante, privativo della sussistenza, ancora l’essere indeterminato, oppure la materia prima a cui è sotteso.

Dicevamo in contrasto pieno il più delle volte, con tutte le leggi, anche sotto il riguardo di quei dettami giuridici seppure minimi, che nelle società secolari mirano ad una regolamentazione della discesa esistenziale, onde essa non abbia a provocare contraccolpi indesiderati, i quali ritardino di troppo l’esito dissolutivo finale, peraltro pienamente scontato a questo medesimo riguardo, com’è rilevabile in molti movimenti giovanili postmoderni.

Nel mentre, nel caso della Legge Rivelata, la forma umana andrà e assicurata e promossa nella sua nitidezza ed interezza voluta ab origine da Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, siccome premessa alle Sue “vie dall’ascesa”, donde una garanzia quanto alle forme create in generale, tranne che nel caso in cui esse s’oppongano a quella concordia universale ascendente, ovverosia svalutate che siano quanto al loro aspetto obliterativo e conculcante.

La qual cosa avviene contrariamente al caso delle società secolari, le quali in definitiva mettono invece in rilevo l’indistinzione pretesa primordiale nei confronti del dominio dell’essere indefinito, per poi stagliarne velleitariamente l’inconsistenza priva di ragione sufficiente, la quale promana da una siffatta illusoria scaturigine invertita, tollerandone il sembiante di sussistenza solamente siccome premessa alla compiuta dissoluzione.

È a questo medesimo proposito, che vorremmo riservare alcune considerazioni a quella cosiddetta “libertà di pensiero”, tanto millantata nelle varie società secolari contemporanee “liberal democratiche” del mondo occidentale, vale a dire, quelle del preteso “stato di diritto”, detto che tanto abbonda sulle lingue dei liberali. Dove sarà da osservarsi, che una pretesa siffatta altro non verrà ad essere, se non una mera presa d’atto di un fatto di per sé innegabile.

Dal punto di vista discorsivo, si tratterà di fatto di un asserto meramente reduplicativo, di una cosiddetta “tautologia”, in lingua ellenica: ”questo è questo”. Perché per sua essenza, l’uomo sarà libero di pensare. Nulla e nessuno glielo potrà impedire. Solamente eliminandolo, gli si potrà negare questa prerogativa, almeno in questo nostro basso mondo. Sarà invece quanto all’espressione di questo suo pensiero, che potranno intervenire dei limiti.

Si tratterà di limitazioni, le quali potranno essere o conformi a quanto dicevamo poc’anzi a proposito della Legge Rivelata, nel senso d’impedire l’efficienza dissolutiva contro l’essere umano dell’espressione del pensiero, favorendone invece le condizioni attuative. Il tutto quindi nel senso della libertà eminente, non della sua bruttura e contraffazione. Tanto da salvaguardare la funzione ascendente dell’ambiente umano quanto all’ascesa attuativa, al contrario di quel mondo secolare, volto invece a corruzione e dissoluzione.

Dall’altro canto, dalla parte della società secolarizzata, si partirà da una pretestuosa mescolanza uniformatrice, la quale non farà se non indurre le condizioni dissolutive, tale da corrodere o disfare, tollerate, difese, od imposte che siano, quello che è loro affatto incompatibile, tanto da ridurre alfine il mondo ad un coacervo di abomini, e null’altro. Nulla che abbia a che vedere con la pretesa libertà, nulla che abbia a che fare con l’attuarsi dell’essere umano, della sua sostanza intellettuale, esistenzialmente eminente.

È a questo medesimo riguardo, che le società occidentali, sul fondamento di non si sa quali “leggi”, dato che esse siano di fatto del tutto arbitrarie, negata che ne sia la scaturigine trascendente, oltre ad essere continuamente violate in questa loro medesima aleatorietà, il che s’impone per ciò stesso a quelle medesime costituzioni secolari, sempre disattese dalle varie prescrizioni in materia, dato che in ogni caso non vi sia legge senza condizione; quelle società si danno ad intervenire sulle coscienze in modo sia subliminale, sia corporeo.

Pretesa assurda quest’ultima, se l’intelligenza non dipende in definitiva da un corpo, che non farà altro, se non estrarre le forme pure, per sospenderle e frammentarle sulla superficie dissolutiva della cosiddetta materia prima. Ma che avrà nondimeno pur sempre, tenuto conto delle nostre presenti condizioni aberranti, una sua certa efficacia, seppure in definitiva limitata e condizionata, se si tiene conto delle dimensioni trascendenti dell’essere umano.

Si tratta in particolare dell’asportazione di settori del cervello umano, la cosiddetta “lobotomia”, assai diffusa in Occidente, al di là delle apparenze in contrario, sulla scorta di quel vetero positivismo alla Comte ed alla Lombroso, mai messo da parte, a dispetto dei suoi insuccessi e dottrinali e di fatto, diffuso specialmente nelle università anglosassoni, a riprova della rozzezza di quelle stirpi, donde la fa da fermento dissolutivo per il mondo intero.

In gemellaggio oggigiorno con quel “genderismo” demenziale, frutto più sofisticato delle aberrazioni neogiudaiche della Scuola di Francoforte, con tanto di “dialettica negativa”, vale a dire dissolutiva, alla Adorno, che la fa da cavallo di Troia per l’imposizione sociale dell’invertitismo sessuale, di quell’abominio orribile solo a dirsi, per non dire di chi avesse la disgrazia d’assistervi o subirlo, che viene spacciato al presente per “amore”, leggi amore per i fori fecali. Genderismo imposto come insegnamento ai bambini, senza vaglio razionale, tra tanto di mascherate e contatti latori di una pretesa libera scelta.

Essendosi l’invertitismo imposto al punto, che il famigerato Barak Obama, premio Nobel per la pace, maschera nera del potere bianco, con le sue otto guerre con milioni di vittime, Iraq, Afganistan, Libia, Siria, Gaza, Ucraina, Yemen, ed oggi ancora contro iracheni e siriani, a difesa dei genocidi prosauditi, che Iddio lo maledica e lo sprofondi, ebbe a dire all’indomani della sua prima vittoria presidenziale, di considerarsi il presidente di tutti, bianchi e negri, ricchi e poveri, e dulcis in fundo, d’invertiti e no! Perché non di farabutti e persone dabbene, dato che questi un qualche diritto d’esistenza dovrebbero pur sempre averlo, persino negli Stati Uniti d’America?

Tornando all’asportazione cerebrale, si tratta di una procedura la cui regolamentazione giuridica, ammesso ch’esista, è quasi del tutto ignota nel nostro disgraziato paese. Sulla scorta dell’onnipotenza e dell’arroganza di quelle “assistenti sociali”, sembiante esterno dei poteri forti od occulti, sempre donne, da quel che ci risulta, certo baldracche sviate, fallite, o fuori uso, com’ebbe a dirla Julius Evola per le loro consimili del preteso “amore universale” di matrice teosofica, oppure addirittura lesbiche dichiarate e tronfie.

Sempre pronte costoro a dividere i figli dai loro genitori dopo che Harut e Marut, com’è che c’insegna il Sacro Corano, II, 102, ebbero ad insegnare come dividere l’uomo dalla donna. Quanto all’aspetto subliminale invece, si fonda sulla moderna ed inconsistente scienza della mente, con i suoi aspetti immaginali tellurici, rilevabili in particolare anche in Freud, con l’ausilio dell’annessa scienza della comunicazione, mirante a convincere indipendentemente dal contenuto, come i sofisti al tempo di Socrate.

Facendo per lo più leva, oscurato l’intelletto, almeno quanto a noi, se non in sé, e resa che sia inefficiente persino la ragione inferiore, com’ebbe già ad iniziare con gli insegnamenti freudiani appunto, su quegli aspetti laidi, inferiori, tellurici, se non addirittura inferi della natura umana, presi per centrali, fondamentali e normativi, il che purtroppo corrisponde ad uno stato di fatto del mondo contemporaneo, specialmente per donne, vecchi, bambini, e per le razze anglosassoni: ”Si Superos flectere nequeo, Acheronta movebo”.

Il tutto con tre correlati fondamentali, sempre in nome della libertà: da un lato il dissolversi della famiglia, con il sovvertimento degli uffici dell’uomo e della donna, immersa con la forza e con le blandizie nel mondo del lavoro, con la conseguente inversione di quelle funzioni, stabilite non solamente dal Sacro Corano, si leggano ad esempio le lettere di Paolo di Tarso, con l’abbandono dei figli al loro destino sventurato d’ignoranti, immorali, ed imbelli.

Dall’altro canto, un informe potere, spacciato per volontà popolare, inesistente in quanto tale, in quanto attributo di una collettività di per sé irriducibile ad unità, il quale per sussistere, negata la forma palese e quella trascendente, dovrà fare riferimento a poteri arbitrari ed occulti, di scaturigine tellurica ed infera, i cosiddetti “poteri forti” dello Schmidt, almeno ad uno dei loro livelli d’esistenza, poteri tanto assoluti, quanto irresponsabili.

Da ultimo, il celebre preteso “quarto potere”, la stampa pretesa e presunta libera, cioè la libera stampa del Grande Cornuto. Funzione del tutto sottomessa a quei poteri arbitrari, in apparenza nella promozione degli interessi dei grandi gruppi di potere finanziari e produttivi, con la televisione le sue propaggini informatiche, e siamo in attesa d’altro. Continuo bombardamento, anche subliminale di perversioni e falsità, a dispetto delle poche eccezioni ininfluenti, lasciate a far mostra di sé nel nome di una libertà inesistente.

Il tutto in contrasto con quell’ordine luminoso, nitido, e distinto, creato e Rivelato, oggigiorno sempre più celato o conculcato, il quale discende da Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, per risalire quindi a Lui, nella distinzione appunto delle sue forme, condizione quest’ultima imprescindibile della sussistenza stessa del mondo creato, così come della sua funzione inconculcabile di segno della trascendenza, e di tramite dell’ascesa.

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