La Questione del Dialogo

Disputa, Monito, Vaniloquio, La Questione del Dialogo, di Ruhollah Roberto Arcadi.

Nel Nome d’Iddio Altissimo

È oramai da oltre mezzo secolo, da quando la Cristianità cattolica romana ed il mondo intero furono testimoni dell’evento cruciale del Concilio Ecumenico Vaticano II, che la fa da padrone in ogni dove il cosiddetto “dialogo”. Ricordiamo che quell’evento fu preceduto da un celebre discorso dell’allora Papa Giovanni XXIII, che se la prese con i cosiddetti “Profeti di sventura”, nell’esaltazione dell’età presente, facendosi promotore di un “dialogo” con la modernità, in tutte le sue variegate realtà, al fine di conoscerle, per poi accettarle, almeno in parte, vale a dire, quelle più significative nella loro efficienza sotto il riguardo appunto della loro indole “moderna”.

Sarà da notare, a questo medesimo riguardo, una doppia fallacia dell’argomentare, alla quale se ne aggiunge una terza, sotto il rispetto del giudizio di valore sulla sequela delle vicende umane, e poi ancora una quarta, per quello che concerne il significato del termine in questione, del “dialogo”. Si tratta in primo luogo della pretesa affatto infondata, che la conoscenza debba portare in ogni caso ad un riconoscimento, nel senso di un’accettazione, questo valendo in ogni caso, non invece ad un’alternativa del giudizio di valore.

Laddove l’abuso risulta invece affatto evidente, quando s’abbiano a riconoscere, ma non certo nel senso d’accettare gli uni e gli altri, il bene ed il male, la realtà e l’inganno, l’essere ed il nulla, la perfezione ed il difetto, tanto da accettarli, oppure di rifiutarli, appunto in virtù della loro qualifica di oggetto di conoscenza. Come nel caso di chi, conoscendo appunto le varie realtà del mondo moderno e contemporaneo, abbia a metterne in rilievo le fallacie, gli abusi, e le prevaricazioni, per poi rifiutarle, con tutta nozione di causa.

Questo in vario modo, anche riconoscendone la condizionalità obiettiva contingente, ma di fatto imprescindibile, rigettandone le implicazioni d’ordine superiore, nel verso del compimento umano, quanto al quale andranno tenute a bada. Come se chi se ne renda conto, non dovesse conoscerle assai meglio di chi si ostini ad accettarle a tutti i costi. Essendo peraltro qui necessario fare un previo distinguo di significati, dato che la modernità, se intesa in senso stretto, implichi tutta un serie di abusi aberranti contro l’uomo, miranti a distaccarlo dalla trascendenza, che è il medesimo che la sua stessa natura propria, per sprofondarlo nelle voragini infere.

Laddove invece, in senso lato, essa comprenderà tutte le realtà della presente scansione temporale delle vicende umane di questo nostro basso mondo, ivi compreso quelle che ne rigettano la prevaricazione. Andando poi entrambe distinte da quel famigerato “modernismo”, nel quale a suo tempo, nella sua versione applicata al mondo cattolico, l’allora Papa Pio X ebbe a riconoscere la “summa di tutte le eresie”, modernismo che non fa se non estrapolare della modernità in senso lato, a livello mentale l’aspetto regressivo, quello in senso stretto, per farne quindi il fulcro delle sue concezioni mondane e submondane, con tutte le conseguenti applicazioni aberranti.

Dunque presunta “conoscenza”, che dovrebbe portare immancabilmente a benevolenza a tutti i costi, con tanto di discorsi melliflui, ed ammiccamenti amichevoli, dove la nozione di conoscenza, dell’identità esistenziale, con conseguente rifiuto dell’inesistenza qualsivoglia, viene falsata all’inverosimile. Per condurre a quell’uniformità, che non farebbe se non rifiutare in definitiva, a parte l’uso strumentale nascosto che se ne possa fare per tacitare le coscienze, solo quanto si mostri di quella realtà ad essa inassimilabile, in virtù del suo ufficio attuativo eminente sulle vie dell’ascesa.

Realtà inassimilabile alla prevaricazione ed alla degradazione, che non accetta di farsene fagocitare od usare, senza esser loro in nessun modo uguale mercé della presunta scaturigine, almeno implicitamente assunta, di queste e di quelle dal Signore massonico del vortice della voragine infernale, vale a dire, dal nulla puro, dall’essere indefinito, o dalla materia prima, con le sue pretese creative. Ma richiamandosi ad un succedersi graduale di dignità esistenziali, che potranno ricondursi solo alla Fonte dell’essere, donde tutto proviene.

Saremmo dunque “tutti eguali”, non fosse che l’eguaglianza esistenziale è un assurdo puro e semplice, una mera insussistenza imposta come un letto di Procuste alla varietà esistenziale, estrapolata che sia velleitariamente, nella sua guisa solamente mentale, dalla sua Scaturigine autentica. Essendo questo peraltro il senso di quel consesso tra eguali, di quel “parlamento delle religioni” di teosofica memoria, a cui si riduce in definitiva il presente “dialogo ecumenico”.

Essendo peraltro già questa una significativa scelta di campo tra Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, ed il nulla, con tutti i suoi suppositi apparenti, a prescindere da quello puro, dato che Egli, come recita il Sacro Corano, abbia costituito ogni cosa nella sua misura, LV, 3, mentre la Bibbia dice anch’essa “omnia in numero, pondere, et censura fecisti”, “hai fatto tutte le cose secondo un numero specifico, un peso sostanziale, ed una misura esistenziale.

Chi si rifà qui dunque a quella uniformità ed uniformazione, ha già fatto la sua scelta di campo, voglia o non voglia ammetterlo, lo sappia o non, in quest’ultimo caso mercé di un’”ignorantia vincibilis”, la quale può e deve essere superata, in virtù della legge rivelata addita, e della Legge di natura abdita, per usare il linguaggio di Campanella, non essendo quest’ultima niente altro che la prima. Vale a dire, la prova esterna, il promulgatore della Legge Divina ed il suo erede, e la prova interna che loro corrisponde, come recita il Kāfī.

Ora la seconda delle fallacie dell’argomentare suddetto sarà la pretesa, che quel riconoscimento ed accettazione uniforme ed informe sia radicato in una qualche conoscenza. Dicevamo appunto che la conoscenza sarà, in vario modo, anche per estrapolazione mentale, identità esistenziale che rifugge per sua natura dal nulla, laonde in primo luogo, non ogni conoscenza conduce ad un riconoscimento di dignità esistenziale, potendo essa anche implicare un rifiuto ben motivato dal riconoscimento di un nulla almeno relativo, com’è nel nostro caso.

La pretesa di riconoscere a tutto, od a quasi tutto, una dignità siffatta essendo radicata, contrariamente a quello che pretendeva il Papa suddetto, e quanti che come lui lo pretendevano e lo pretendono, se in buona fede, nell’”ignorantia vincibilis” di cui dicevamo, della quale ci si farà carico, oppure in mala fede, quando ci si dovesse rendere conto della fallacia, della quale nondimeno costoro si fanno latori, per il conseguimento dei loro fini perversi.

Altro inganno incluso nell’argomentare suddetto, è che dopo secoli d’incomprensioni e di ciechi contrasti, si sarebbe alfine giunti, appunto grazie all’azione illuminata di quel soggetto, e di quelli come lui, grazie alla loro pretesa larghezza di vedute, ad una reciproca comprensione, e ad una pacifica convivenza. Nulla di più errato. Nell’Islam è invece sino dai tempi del Nunzio divino, e delle Guide suoi puri successori, che ci si incontra e si discute.

Esemplare fu, a questo medesimo riguardo, il comportamento dell’Inviato d’Iddio Altissimo, il quale ospitò benevolmente nella sua stessa casa la delegazione dei cristiani di Najiran, per poi discutere con loro la questione della divinità di Gesù, la pace su di lui, prima con l’argomento intellettivo, quindi sfidandoli addirittura per tacitarne ogni dubbio ulteriore, a quel Giudizio d’Iddio, in arabo “mubāhalaħ”, di cui entrambi ci dice Sacro Corano, III, 59-61.

Sacro Corano che raccomanda recisamente d’avvalersi dell’argomento intellettuale, XXVII, 64: ”adducete il vostro argomento, se siete veridici”. Argomentare non fallace, ma radicato invece nell’intelligenza trascendente, vale a dire nei nomi adamici primordiali, II, 31, nel deposito originale della fede accettato ab inizio dall’uomo, XXXIII, 72, nel riconoscimento iniziale della signoria divina da parte dell’uomo, VII, 172, nulla avendo a che vedere con i cavilli e con gli inganni del ragionamento meramente discorsivo e razionale.

Celebre e memoranda fu la disputa che Ali Ibn Musa Rida, la pace su di lui, ottavo Erede e legittimo Successore dell’Inviato d’Iddio Altissimo, ebbe a Tus, allora capitale del califfato, al tempo del Califfo Ma’mun, con i rappresentanti di Cristiani, Ebrei, e Zoroastriani, che dovettero inchinarsi al cospetto della sua sapienza ispirata. Dunque nulla di nuovo sotto il sole, almeno sotto il riguardo della libera discussione, non dell’accordo a tutti i costi.

Tanto che adesso, tutto al contrario, nessuna luce riluce su quelle riunioni melense da “fiera delle religioni”, com’ebbero giustamente a definirle i cattolici tradizionalisti, identificandole correttamente, almeno dal loro punto di vista, con l’”eresia”. Che vorrebbero portare ad un guazzabuglio indistinto, a quella “notte in cui tutte le vacche sono nere”, che Hegel rimproverava all’assoluto di Shelling nell’introduzione alla sua Fenomenologia dello Spirito, ad un “tutti insieme, tutti uniti”, anche con Lucifero, all’insegna di un indiscriminato “vogliamoci bene” privo di ragione sufficiente.

Essendo questo in effetti un assunto prettamente moderno e modernista. Già John Locke, a suo tempo, pubblicava la sua celebre e conclamata “Lettera sulla Tolleranza”, proprio agli albori di quella famigerata prevaricazione anglosassone, la quale avrebbe poi portato al più abietto servaggio coloniale un quarto delle terre emerse, ed un quinto della popolazione mondiale, ci riferiamo qui ai dati della seconda metà dell’ottocento e della prima metà del novecento.

Pur vivendo un quinto della popolazione della stessa Gran Bretagna, a dire delle sue stesse fonti, di mendicità, questo a dispetto delle enormi ricchezze depredate in ogni parte del mondo, ed ivi accumulate nelle mani di pochi. E preferiamo stendere un velo pietoso sulla sventuratissima Irlanda, destinata dai dominatori allo sterminio per fame, come avvenne pure in India ed in Iran, per non dire delle stragi efferate perpetrate altrove da questi “benefattori”.

Dunque John Locke scopriva quella tolleranza indistinta, non radicata in nessuna conoscenza, scevra da ogni disputa e discrimine, che in definitiva era, almeno occultamente, acquiescenza ai crimini inenarrabili dei suoi connazionali. “Tolleranza” della quale si sarebbe fatta in seguito vessillifera, come dicevamo, proprio quella Chiesa Cattolica, che si era distinta in precedenza per il suo fervore persecutorio, dove condanniamo non la cosa in sé, ma l’esagerazione.

Locke era in effetti un sensista che non dava nessuna importanza alla conoscenza ed alla realtà trascendente, poco prima di Kant, ed agli albori dell’Illuminismo, e di quella massoneria speculativa, resasi sovversiva una volta scissa dal suo previo distacco da quelle che erano state le antiche vie attuative legate ad un’arte. Trattandosi per lui di accettare ed imporre uno stato di fatto preteso, ed una concezione del mondo, quella che in definitiva, nella convinzione che l’essere debba scaturire dal nulla, la farà finita con ogni dignità esistenziale, con le conseguenti antecedenze nel verso della prossimità divina.

Era ancora la sua una “tolleranza” con una qualche non indifferenza, in virtù della sfumatura peggiorativa del termine, che implicherebbe un qualche giudizio di valore. Sfumatura che sarebbe venuta meno, per lasciare il posto all’indifferenza, successivamente mascherata da “pari dignità”, che sarebbe solo servita a coprire lo sfruttamento materiale e indiscriminato, e l’abbrutimento corporeo ed intellettuale delle sventuratissime popolazioni, che si fossero trovate a contatto con questi mirabili vessilliferi dell’”eguaglianza“ umana.

Più eguali però che fossero essi stessi, nell’indifferenza ad orpelli per loro oramai insignificanti, senza nessun riguardo quanto allo sfruttamento indiscriminato ed all’abbrutimento, ben peggiori della strage e del genocidio, senza nessun rispetto, senza neppure dire “tolleranza”, delle altrui risorse corporee ed animiche. Basti ricordare a questo proposito la diffusione dell’oppio e del tabacco in Cina ed in Iran, e dei liquori tra gli indigeni del Nord America, per indebolire la fibra di quelle popolazioni, rendendole incapaci di reagire.

Per fare quindi posto, in questa meravigliosa vicenda delle “magnifiche sorti e progressive” della specie umana, al tentativo ultimo di prevaricazione intima contro la stessa intelligenza, nella fattispecie quella trascendente, contro ogni autentica sottomissione ad Iddio, sia magnificato ed esaltato, in nome di tolleranza ed eguaglianza, perché, come recita appunto il Sacro Corano, costoro non saranno contenti sino a che non ti avranno tolto la tua religione, II, 217, e II, 120.

Preludendo così a quella “fiera delle religioni” suddetta, corrispettiva al loro “libero mercato”, dove nessuno si sarebbe più premurato di avvalersi dell’intelletto, ma invece facendo leva sulle più basse pulsioni concupiscili e passionali dell’anima inferiore “prona al male”, S. C., XXI, 53. A cominciare dall’uso di quel denaro, oppure anche di certi vari interventi materiali, volti ad alleviare le miserie provocate da quei medesimi millantati benefattori dell’umanità, come il pompiere che spenga l’incendio della casa cui ha dato fuoco.

Dicevamo che questa “fiera” e questo mercato nulla avranno più a che vedere con il confronto intellettuale delle convinzioni, quale si ebbe in precedenza specialmente nel mondo musulmano. Anche tenendo conto del fatto che ivi, prima del diffondervisi divisioni secolarizzanti di matrice occidentale, le minoranze religiose vi furono sempre rispettate, rimanendovi vive e vegete, Cristiani, Ebrei, Zoroastriani, come la maggioranza Indù dell’India.

Ed entra qui in gioco la quarta delle fallacie sopra menzionate, vale a dire, quella che concerne l’uso improprio del termine “dialogo”. A questo medesimo proposito, occorrerà essere assai chiari. Questo vocabolo non aveva mai avuto in precedenza in nessun modo il significato banale d’indifferenza melliflua attribuitagli al giorno d’oggi, anzi significava, sotto un certo rispetto tutto il contrario di quel che invece si pretenderebbe al presente d’affibbiargli, snaturandolo all’inverosimile, anche quanto alla sua notazione linguistica.

In effetti, il suo precedente più celebre ed autorevole sarà da reputarsi quello dei “dialoghi” di Platone, sotto i quali sono raggruppate la maggior parte delle sue opere. Vale la pena osservare, a questo medesimo riguardo, che il vocabolo suddetto, nell’antica lingua degli Elleni, ha un significato sia di unità, mercé del verbo suffisso “lego”, nel senso di “raccolgo”, “raduno”, così come anche nel verbo latino della medesima forma “legere”, “passare in rassegna unendo”, donde il nostro “leggere”, come per l’’equivalente verbo latino.

Sia avendo il medesimo termine un significato anche distintivo o separativo, grazie alla preposizione prefissa “dia”. Dialettica dunque, proprio in quel senso primario, che in Platone viene chiarito nel Fedro, di unire distinguendo, e di distinguere unendo. Vale a dire, in altri termine, sotto il riguardo puramente ed eminentemente esistenziale, la discesa creativa dall’Uno al molteplice, e l’ascesa iniziatica dal molteplice all’Uno, come preconizzata anche da Ibn Arabi e soprattutto da Molla Sadra , in primo luogo negli Asfar.

Concezione ch’egli corroborava, nei suoi Mašā°ir, persino con una citazione dall’Evangelo dell’Apostolo Giovanni, per cui non ascende a Iddio, sia magnificato ed esaltato, se non chi Ne era disceso, in piena conformità col verso coranico “d’Iddio siamo, ed a Lui ritorniamo”. Concezione esemplare, com’era anche per Platone, di un’attitudine unitiva, per cui si procede da dall’Identità Trascendente Suprema, alle distinzioni ed alle separazioni effettuali, per tutto il tramite dei livelli intermediari dell’essere e dell’esistenza.

Senza che si debba invece andare, com’è esemplificato nell‘Organon di Aristotele, da qualità a qualità, oppure da supposito a qualità, a prescinderne dallo stato unitivo trascendente, nella loro maggiore o minore inclusione qualificativa, a dispetto di quello che asseriva invece Molla Sadra, sulla scorta e di Platone e della sua corrente, vedi Plotino, appunto della loro identità in divinis, con le implicazioni predicative e distintive conseguenti ed effettuali.

Tutto questo sotto un riguardo esemplare, come dicevamo. Dal punto di vista applicativo invece, abbiamo nei “dialoghi” platonici una procedura la quale porterà ad una soluzione unitaria inequivocabile, in ogni caso del tutto esclusiva del suo opposto, sia che le due parti siano in dissenso tra loro, sia anche che una delle due solamente si presti a rispondere alle domande di chi conduce il discorso, per lo più Socrate, ma non solamente, al fine di giungere ad una conclusione univoca, che non dia luogo a nessuna ambiguità.

Questo in ogni caso, come dicevamo, anche in quello di una ricerca dottrinale dove chi risponde, invece d’opporsi, sia pure senza un suo dissenso palese, la faccia nondimeno da controparte pur sempre di un confronto, che dovrà portare in ogni caso ad un esito univoco. Senza nessuna concessione dunque alla pretesa contemporanea di stare insieme ad ogni costo, anche nelle opposizioni più estreme ed irriducibili, che non ammettono nessuna unità, ma solamente esclusione, quali quelle di cui dicevamo dianzi.

Essendo questo il medesimo procedimento che si aveva nelle dispute delle università medievali, alle quali accenna ad esempio Dante, delle quali si ha ancora al presente una qualche rimanenza in certe università pontificie, specie quelle d’indirizzo tomista, come l’Angelicum di Roma. Dominando tuttora nei centri d’insegnamento di una parte almeno del mondo islamico, nella fattispecie nei centri d’insegnamento sciiti, specie in Iran, in arabo le cosiddette “ĥawzaħ”, in arabo “distretto, con le loro dispute, le cosiddette “mubāĥŧaħ”, dal verbo di prima forma “baĥaŧa”, vale a dire, “ricercare”, “investigare”.

Nel Parmenide platonico, la dialettica assurge alle vette della trascendenza suprema dell’Uno, lo “En”, identico al Bene della Politeia, superiore all’essere stesso nella sua impredicabilità, risultato di tutta una serie di affermazioni e di negazioni donde esula pienamente. Con esiti che saranno gli stessi di quelli del suo continuatore Plotino, delle correnti sapienziali musulmane, e dell’interpretazione di Sankara del Vedanta quanto al mondo indù, nulla aventi a che fare con un qualsivoglia impersonalismo riduttivo nel senso di un’indifferenziazione pretesa primordiale, della quale abbiamo già detto sopra.

Mentre nel caso della cosiddetta “dialettica“ hegeliana, come anche nelle procedure aristoteliche, si avrà tutto un succedersi di partizioni contrastanti, come “tesi” ed “antitesi” in Hegel, oppure soggetto e predicato in Aristotele, la quali che non faranno che soprastare al nulla ed all’essere indefinito pretesi originari. Riferendo loro, proprio a quella “notte in cui tutte le vacche sono nere” che Hegel condannava, esplicitamente in lui, implicitamente in Aristotele, quello che essi non potranno mai produrre, per quella separazione supposta iniziale, ad esempio il movimento, com’è per le più schiette dottrine massoniche.

Non più discesa ed ascesa, dall’essere all’esistenza e viceversa, nel comporsi di quest’ultima col nulla relativo in quanto essere relativo, ma pretesa ascesa dal nulla presunto originale della supposta mente divina vuota, identica all’”io penso” di Kant, appunto all’esistenza ed all’essere. Ma in ogni caso, in tutti gli assunti precedenti, nulla che abbia neanche lontanamente a che vedere, anche nel caso più spurio ed aberrante, che sarà quello hegeliano, con la concezione odierna del “dialogo” o non più dialogo, come quello platonico.

Laddove si voglia esulare, stendendovi un velo pietoso, dagli assunti ridicoli di certi occidentalizzati, sedicenti musulmani, che riducono la cosiddetta “dialettica” ad un vuoto nome roboante, per un mero insieme di partizioni contrapposte, che essi si limitano a giustapporre, in un modo di vedere le cose assai banale, assai più spurio di quello hegeliano. Com’è per quel Soruš, che lasciamo al suo vano blaterale delle sue lezioni universitarie ai suoi degni allievi americani, col suo vacuo cicalare modernizzatore contro l’Islam.

Ai nostri giorni, dopo il Concilio Vaticano II, autentico sconvolgimento cruciale, l’astuzia accattivante dei capi di quello che fu, e non è più, a nostro modesto avviso il Cattolicesimo Romano, ha fatto sì che la loro concezione aberrante del cosiddetto “dialogo” si sia imposta in tutto il mondo, approfittando dell’ingenuità altrui, quando non si trattasse di complici in mala fede, con tutto un conseguente cicalare a vanvera, che lascia il tempo che trova.

In un nostro precedente scritto, e chiediamo qui scusa se ci permettiamo addirittura di citare noi stessi, che avevamo dedicato al dialogo tra le civiltà, lo avevamo definito un compito certo imprescindibile, ma a patto che il suo punto o di partenza e di arrivo fosse l’attestazione dell’Unità Divina, come recita il Sacro Corano: ”Addivenite ad un verbo comune, che non adoreremo se non Iddio, senza nulla associarGli”, III, 64, senza indifferenze banalizzatrici. Ed a patto che esso fosse tra autentiche “civiltà”, quale l’Occidente non è più, per il suo completo difetto di una qualche trascendenza direttiva.

Che cosa mai vorrà dunque significare tutto questo? Nello scritto suddetto, facevamo riferimento a precedenti illustri, quanto a Tommaso d’Aquino ed alla sua deferenza per Abu Alì Sina, il nostro Avicenna, che egli considerava suo Maestro, posto anche da Dante tra gli spiriti magni del Limbo cristiano, ed alla citazione da parte di Molla Sadra dell’Evangelo dell’Apostolo sopra menzionata. Che cosa intendiamo dire con tutto questo, che cosa intendevamo dire e fare esemplarmente quei grandi, anzi quei sommi spiriti del passato?

Significherà qui il fatto, che richiamarsi alla Trascendenza Divina vorrà dire trarne o tutte le conseguenze, od all’uno od all’altro livello. Dato che altrimenti quella medesima Unità Divina verrebbe falsificata all’inverosimile separandola dalle sue implicazioni creative, iniziatiche, dottrinali, e giuridiche, dando luogo appunto a quella separazione ed associazione di realtà indifferenti, apertamente interdette dal Suo verbo Rivelato, quell’Unità dovendo essere principio e fine, come appunto dicevamo qui sopra.

Significherà riconoscere, siccome recita peraltro lo stesso Credo cristiano, o Simbolo Niceno, che Egli si è espresso per mezzo dei Suoi Inviati, significherà, quanto ai Giudei, indurli a riconoscere che la profusione della Sua generosità non si è esaurita, che la Sua Mano non è certo “incatenata”, S.C., V, 64, come essi pretenderebbero, ma che invece Egli è andato oltre, con Gesù, la pace su di lui, e con Muhammad, che Egli benedica lui e la sua Famiglia immacolata, senza artifici limitatori ad esclusioni di uno o d’entrambi.

Perché pretendere che Egli non abbia profuso alcunché di definitivo ed inclusivo per l’interezza dell’umanità e dell’uomo stesso, significherà mancargli di rispetto, perché avrà proprio questo senso, il fatto di pretendere che la Sua Legge o sia destinata ad una Gente solamente, oppure che essa sia rimasta monca, priva del suo aspetto giuridico, da raccattare all’occorrenza da altre tradizioni, con il pretesto che la fede debba giustificare anche senza le opere. Perché se poi le opere verranno ad essere necessarie, significherà appunto che la Rivelazione non è completa, mercé di siffatti aggiustamenti suddetti.

Tutto questo significherà in effetti indurre i cristiani ad una trasposizione trascendente delle loro concezioni limitative della trinità e dell’incarnazione. La prima andando intesa solamente al livello dei nomi e degli atti divini, le cosiddette “energie” divine increate sempiterne dei Cristiani d’Oriente, andando essa risolta in quell’Essenza Suprema del tutto scevra da relazioni personali o d’origine, quali appunto quelle trinitarie, che non esauriscono certo, mercé della loro “distinctio formalis”, com’’è per Scoto, l’Infinità Divina.

La seconda, vale a dire, la cosiddetta “incarnazione”, quanto al fatto che si avrà qui l’assunzione sic et simpliciter di una natura umana individuata da parte dell’ulteriorità incomunicabile del supposito divino, con la sua stessa natura, tanto che si avrebbe non un’incarnazione”, termine a nostro modesto avviso assai improprio, ma piuttosto una sorta di “deificazione”. Assunzione che l’assocerebbe alla Natura Divina individuata a cui quel supposito, o persona, è sotteso, mercé della “communicatio sermonum”, della qualità umane e divine.

Ma avendosi invece un procedere inclusivo di tutti i livelli dell’essere, dall’Essenza dell’Identità Suprema, sino al livello della sensibilità corporea, coinvolgendo così sia il supposito personale profuso e derivato, sia la sua qualificazione, vale a dire, il palesamento di cui sarà latore l’intelletto trascendente. Donde nessuna salto dalla trascendenza alla sensibilità, senza che il palesamento abbia ad essere un raggio dell’intelletto, ma costituendo invece la qualificazione della sua sussistenza, questo di livello in livello dell’essere profuso.

Senza che s’abbia, in questo modo, nessuna “figliolanza” divina, recisamente condannata in più luoghi del Sacro Corano, ed in sé stessa, e per i suoi possibili abusi. Da sostituirsi con la nozione assai più appropriata di “verbo divino”, di quell’”actus dicendi, e non “intelligendi” della stessa dottrina trinitaria, che quest’ultima attribuisce peraltro al procedere della Sostanza Divina in sé stessa, all’identità della sua “relazione d’origine”, non alla sua produzione affatto subordinata, seppure sussistente ab aeterno al Suo cospetto.

Senza che inoltre la pretesa ”figliolanza divina”, vale a dire, questa indebita deificazione, abbia ad interrompere la sequela del palesamento d’Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, al mondo, dalla sua sublimità profusa a suo modo infinita, ma non esaustiva dell’infinità Divina. Essendo peraltro quella la sequela della sua perfezione ad extra, non certo sotto il riguardo dell’eminenza trascendente, che sarà l’identità stessa di quel palesarsi, oppure, se vogliamo qui usare un termine assai improprio ed abusato, la sua interiorità.

Non implicando dunque questo preteso esternarsi della Divinità stessa, nel suo presunto “farsi come”, una trascendenza incolmabile rispetto alla dimensione giuridica del Messaggio Rivelato, che ne sarebbe un aspetto affatto inferiore e contingente, in quanto tale da assumersi dall’una oppure dall’altra tradizione, si tratti di quella mosaica, oppure della legge romana, anch’essa di origine divina, secondo quanto attesta Cicerone nelle Filippiche.

Essendo peraltro la dimensione giuridica, seppure nella sua esteriorità apparente, un aspetto sopraordinato dell’ascesa iniziatica, nel suo sembiante di discesa, non avendo nulla a che vedere con la discesa creativa, andando dunque riferita al quarto dei viaggi attuativi dell’intelletto trascendente attestati da Molla Sadra, così come da altri grandi sapienti, strumento peraltro irrinunciabile dell’ascesa iniziatica. Contro certe vacue e stolte immaginazioni contemporanee, che s’adoperano in ogni modo per vanificarlo.

Ragion per cui, la Rivelazione conclusiva dovrà includere tutti i vari aspetti della natura umana, sia normativamente, sia attuativamente, da parte di quell’intelligenza trascendente e presenziale, attiva nella sua compiutezza, alla quale essa sarà sottesa, dalle norme sia animiche, sia corporee del vivere quotidiano, quanto alla necessaria disciplina sussidiaria di realizzazione. Sino alla tanto conculcata dai contemporanei, a bella posta, dimensione comunitaria, aspetto quest’ultimo inscindibile, per quanto consequenziale della natura umana.

Per cui la Rivelazione dovrà essere tale, da poter dare indicazioni valide ed imprescindibili per il buon governo degli uomini, onde abbia ad assicurarne le migliori condizioni per l’ascesa personale, attuativa della trascendenza stessa. Secondo quella che era stata peraltro l’esigenza della Politeia platonica, che non fa per parte sua se non preconizzare i vari aspetti della Rivelazione stessa, richiamandosi in definitiva a quella sapienza adamica originale consumatasi nella Rivelazione muhammadica. Tutto questo quanto ai Cristiani.

Sarà questo dunque il senso di quel dialogo autentico, di cui sopra, che sarà in definitiva una disputa con conclusione univoca, quantunque sempre gentile e corretta, secondo le indicazioni coraniche, XVI, 125, ma se necessario anche un monito. Quando non s’abbia peraltro a che fare con i vaniloqui di quei cuori induriti che Egli ha sigillato, II, 6-7, con quelle anime annerite, secondo quanto recita l’Imam Jafar Sadeq, la pace su di lui, per cui non v’è oramai più ritorno, le quali andranno invece lasciate al loro destino irreparabile, XXVIII, 55.

Questo essendo dunque il senso autentico di una discussione la quale abbia ad avvalersi dell’intelligenza nella sua forma dell’argomento razionale, S.C., XXVII, 64. Guidandola con quella Rivelazione identica nel suo cuore a quei significati trascendenti della sua dimensione suprema, ma che avendo a che fare con un intelletto “possibile”, secondo il linguaggio tomistico ed aristotelico, oppure anche “materiale, secondo il modo d’esprimersi di Molla Sadra, avrà pur sempre bisogno di una guida sopraordinata, che abbia a trarla dal suo divagare, od addirittura dal suo sprofondare infero, che Iddio non voglia.

Portandola così ad essere, l’intelligenza, quello che essa è, quello che essa non sarà mai, se non in virtù di quello che essa è ab aeterno per suo diritto primigenio nella trascendenza del patto divino originale, VII, 172, semplicemente e puramente:”Iddio è la luce di cieli e della terra…Egli guida alla Sua Luce chi vuole”, XXIV, 35. Dato che non s’abbia da sé quel che si ha di là da sé, avendoselo contratto ed affievolito in quanto tale, essendo dunque solamente la grazia d’Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, come dicono anche i Cristiani, ad operare questo miracolo, che è il sommo miracolo.

Senza che inoltre vi sia nessun bisogno di ricorrere a quel preteso “sacrificio”, non si sa bene a chi, se a Iddio stesso, sia magnificato ed esaltato, con le fattezze di un carnefice, oppure a dei carnefici presi come dei, che Egli ci perdoni questo nostro crudo modo d’esprimerci. Senza che peraltro, in ragione dell’unità semplice sottesa alla distinzione delle relazioni personali trinitarie, si renda nessun conto, del fatto che questo “sacrificio” dovrebbe concernere o l’una, oppure l’altra persona della configurazione trinitaria.

Essendo dunque quella celebre visione del Cristo sofferente, piagato e moribondo, certo il prodotto dell’aura sottile circonfusa alla visione cardiaca presenziale di taluni dei suoi discepoli, mossi dall’aura passionale che offusca la luce dell’intelletto. Secondo quel modo della visione presenziale che coinvolge taluni uomini di conoscenza, impedendo loro il contemplare schietto di quel Cristo glorioso, che è poi il medesimo del Cristo Pantocratore dei Cristiani d’Oriente, com’è testificato anche dal Sacro Corano, IV, 158.

Essendo stata anche quella dei Giudei una visione presenziale, ma d’indole infera, che li confuse facendo loro vedere e credere, nell’essere mossi dalle loro passioni empie, quello che invece non era affatto, tanto che parve loro di crocefiggerlo ed ucciderlo, senza che lo facessero, come dice appunto il Sacro Corano, IV, 157. Confondendo questa loro aurea inferiore anche la percezione delle fattezze sensibili di Gesù, senza che ci sia bisogno di nessun sostituto, come pretenderebbe invece Corbin sulla scorta del Vangelo di Barnaba.

Col che si mancherebbe di rispetto alle fattezze corporee di Gesù, la pace su di lui, mercé della loro profusione divina, che si vedrebbero ridotte ad un comportamento, in virtù della somiglianza che sarebbe stata assunta nei confronti Giuda Iscariota, affatto indegna di un Suo Nunzio, il che non riusciamo a capire come possa essere sfuggito a tanti studiosi, nella loro pretesa che l’evangelo di Barnaba debba essere a tutti i costi il “vangelo dell’Islam”.

Donde tutte le conseguenze di questa grave innovazione dottrinale, forse richiamatesi anche a sacrifici di dei precristiani come Osiride per gli Egizi e Zagreo per gli Elleni, con tanto di “peccato originale”, che peraltro originale non è affatto, di filiazione divina, con la conseguente generalizzazione trinitaria, di “sacrificio vicario”, che riesuma certe usanze ebraiche espiatorie, il che introdurrà una cesura velleitaria nella discesa della profusione divina.

Facendo del sacrificio riparatore e del suo latore il tutto, in virtù della filiazione divina, come se la generosità divina originale non abbracciasse tutte le cose, S. C., VII, 156, a discapito di quella legge completa, non solamente morale, ma anche pubblica, che resta nondimeno l’apice dell’ascesa iniziatica. Serrando così le porte di quello che non poteva essere chiuso, le mani della generosità divina latrice di un perfezionamento rivelato ad extra, che avrebbe consentito la salvezza dell’infimo degli uomini dei tempi ultimi.

Ricordando che Ibn Arabi attribuisce a Gesù, la pace su di lui, la funzione di Sigillo universale dell’Intimità divina, in arabo “Wilayah”, del che è testimonianza coranica la sua suddetta assunzione corporea gloriosa nella Sua Sublimità, S.C., VII, 158, senza che egli abbia così a subire, com’è invece nella dottrina cristiana a causa del sacrificio vicario, la cesura della morte corporea. Proprio mercé di una siffatta universalità onnicomprensiva, che non accetta eccezione del suo prodursi esistenziale dalla Celsitudine Divina.

Non essendo peraltro in contrasto se non apparente i due assunti dello stesso Ibn Arabi, per cui Alì, la pace su di lui, verrebbe ad essere il Sigillo particolare dell’Intimità. Al quale s’insea dall’altro canto, siccome nella guisa di suo supposito, la sua stessa natura trascendente, altrove asserita dal medesimo Ibn Arabi, di Segreto trascendente del suddetto Sigillo, anche di quello universale, senza che abbia ad esservi pertanto nessun contrasto tra questi suoi due asserti, i quali andranno invece debitamente soppesati ed interpretati.

Includendo peraltro il Vaticinio di Muhammad, benedica Iddio lui e la sua Famiglia immacolata, tutti quanti questi riguardi, la qual cosa lo renderà da un lato suscettibile di una morte corporale, nella sua particolarità sottesa alla sua universalità. E senza che dall’altra parte, appunto per questa medesima compiutezza, intuitiva agli occhi dell’intelligenza presenziale di chi lo accetti, egli sia suscettibile di una qualsivoglia sorta di “deificazione”, com’è invece avvenuto per sia Gesù, sia per Alì, la pace su di loro, il che verrà ad essere indice, se non di una lacuna, certamente di un livello inferiore di perfezione.

Dicevamo che tutto questo dovrebbe essere l’oggetto di una discussione obiettiva e spassionata, ”sine ira nec studio”, per dirla con Tacito, condotta con tutte le buone maniere, come già dicevamo sopra, non certo di un banale “dialogo ecumenico” nel senso contemporaneo. Discussione la quale abbia a procedere ad una risoluzione, vale a dire, ad accettare quello che andrà accettato, ma con un’inclusione ascendente che risolva le particolarità esclusive delle varie concezioni, portando a livello operativo ad una decisione risoluta, che sarà quella di procedere sulla via d’Iddio, eccelsa Ne sia la lode.

Tutto questo conseguentemente, da quello stesso principio, contro i vari abomini moderni e contemporanei, i quali tendono a ridurre quella Sua via ad un accessorio meramente strumentale ed equivoco di una dissoluzione infera progressiva, per via di tutto un insieme di concezioni o meramente secolari, od addirittura luciferine. Quando s’abbia presente il fatto, che ci troviamo oggi alla presenza di quelle vicende dissolutive, conseguenti al previo indurimento corporeo di questo nostro basso mondo. Dunque trasposizione trascendente attuativa, rifiuto dell’errore, e lotta contro ogni sorta d’abominio.

Sola a questa condizione varrà dunque la pena discutere e confrontarsi, non certo appiattendosi al livello più basso della mancanza di qualità, perché le vie dell’ascesa conducono alla somma delle qualità, ed alla loro unità semplice e distintiva nella prossimità divina, preludio all’attestazione della Sua Unità Suprema, non certo a quella mancanza di qualità che preconizza solo la dissoluzione nella materia prima, nell’essere indefinito, oppure nel nulla puro. Dissoluzione che non avrà mai luogo, perché essa non farà che cedere il posto all’essere, dato che, per dirla con Parmenide, l’essere è, il non essere non è.

Presentando a questo medesimo riguardo la sottomissione a Iddio, sia magnificato ed esaltato, e ad essa invitando, perché appunto sarà questo il senso anche verbale dell’Islam, siccome della via, da Lui definita, della fede incoativa, della conoscenza variamente consumata, e dell’operare a Lui accetti, che condurranno alfine alla Sua prossimità ed alla Sua Intimità. Essendo questa in effetti la religione universale, pur nel prendere una forma a Lui gradita, in quanto supposito e definizione di quella, nella sua trascendenza.

Si dovrà inoltre affrontare, in sede di discussione, o di “’dialogo”, che dir si voglia, la divergenza tra le principale varianti di questa medesima via, vale a dire, dell’Islam, in quanto da Lui definita. Vale a dire, quella dei seguaci della Famiglia benedetta del Nunzio divino, e quella che tenta invece d’estrapolarne, sebbene alquanto contraddittoriamente, altro abusivamente aggiungendovi, la via e l’esempio dalle loro conseguenze ineludibili, sotto il riguardo sia del Libro, sia delle narrazioni, identici in sostanza alla via dell’intelletto.

Si tratta della vexata quaestio dell’unità dei Musulmani, in effetti nulla di nuovo sotto il sole, essendo essa anzi all’origine stessa di questa via e della sua Rivelazione. L’Inviato d’Iddio Altissimo, ed i suoi eredi e successori della sua Famiglia immacolata, sempre preposero questa unità ad ogni altra considerazione fattuale, nulla potendo valere in loro, a differenza che in altri, l’interesse personale, essendo quella un’incombenza divina, nulla avente a che fare con qualsivoglia considerazione mondana, che le veniva sempre sottomessa.

Essendo la Comunità dei Credenti qualcosa di tanto elevato, con la sua unità e le sue leggi, da essere ognuno dei membri eccelsi di quella medesima Famiglia benedetta pronto a dare la sua stessa vita mortale per essa, come avvenne in particolare per Husayn, la pace su di lui. E com’è che osserva per lo stesso Atteso Ben Guidato l’Imam Ķomeynī, che Iddio ne esalti il rango, suscitando le reazioni stizzite ed i frizzi ed i lazzi di certi ignoranti ed imbecilli al soldo dell’oppressione mondana, non dovendo invece la cosa suscitare meraviglia.

Fatto sta, che la Comunità verrà ad avere la sua unità trascendente, non una sua unione dal basso, ci permettiamo di osservare, dato che essa sia dall’alto, da Iddio Altissimo, eccelsa ne sia la lode. Essendo questo peraltro il senso corretto del termine arabo “tawĥīd”, “fare uno”, ed “essere fatto uno”, da parte di Lui, non degli uomini in quanto tali, come avviene invece per le varie unioni contemporanee, nella loro esteriorità e velleitarietà costruttiva dal basso, dal fumo pretenzioso di un vano operare umano, troppo umano, se non addirittura infero.

Essendo questa stessa unità dunque uno dei tramiti ordinati tra la Trascendenza Divina, e questo nostro basso mondo, essendole sottese le sue varie realtà. Ivi incluse le stesse esistenze corporee e mortali delle sue Guide pure e benedette, non certo il loro fonte trascendente, le quali le andranno dunque sacrificate all’occorrenza, sia pure nella sopreminenza della luce pura della loro natura superna nell’Intimità divina, costituendo il tramite per eccellenza del profonderseNe dell’Essenza Santissima nei vari mondi subordinati.

Unità dunque. Ma che cosa significa questa unità? Significherà forse, che i Puri della Famiglia benedetta del Nunzio divino dovranno rinunziare alla loro eminenza ed ai loro diritti a favore di chicchessia? E ci riferiamo con questo alla trascendenza delle loro prerogative, oltre e più che al loro aspetto effettuale contingente. Si tratterebbe forse del fatto, che si dovrebbe rinunziare a discutere quest’argomento, del loro mandato divino, così come di tutta la dottrina e di tutta la realtà ad esso sottese, che gli danno il suo senso?

Quali il significato dell’Intimità Divina, della Luce Muhammadica e del suo stato nei Suoi confronti. Con la sua sequela profusiva, l’Evento per eccellenza e la Narrazione per eccellenza, dell’Intelletto Primo, od Agente, prima Sua processione ad extra, con il suo annunzio all’universo, la sua Rivelazione primordiale, dalla quale non è distinto se non formalmente, secondo ragione, e dei vari livelli dell’essere in cui s’insea questa medesima realtà, costituendone il centro inclusivo e produttivo delle varie realtà subordinate.

Trattandosi di realtà, vale a dire di essere, o di esistenza, giammai di quiddità astrattiva, come pretenderebbero invece taluni ignoranti e presuntuosi, dalla Realtà Suprema non condizionata da condizioni, a quella condizionata dalla sua stessa assolutezza, per usare quivi il linguaggio d’Ibn Arabi, di Molla Sadra, e di altri grandi uomini di conoscenza, come l’Imam Ķomeynī in questo nostro tempo. Essendo questo peraltro il senso di tutti gli assunti in tal senso, quand’anche non abbiano ad esplicitarne la realtà di fatto.

Si tratterà dunque di prevaricare, con l’insulto e l’aggressione verbale, come fanno taluni insipienti, che peraltro rifiutano anche quella dottrina sopraeminente alla quale andrà sottesa di diritto la concezione della Guida divina, nella sua esplicitazione suddetta, dottrina preconizzata almeno implicitamente dal Libro Rivelato e dalle narrazioni, senza la quale quella concezione non avrebbe nessun senso, ma sarebbe solamente una vana petizione di principio? Non è certo a questo che vorremo ridurci, come fanno invece certuni.

O si tratterebbe invece, con la scusa di questa medesima unità, come nella “notte in cui tutte le vacche sono nere”, addirittura di rinunziare alle peculiarità sopraeminenti della dottrina delle Genti della Dimora del Vaticinio, asserendo che non esisterebbe più di fatto una corrente dei loro seguaci? Dato che in definitiva queste, secondo certuni, sarebbero discussioni affatto trascorse ed oziose, nulla aventi a che vedere con l’effettualità contemporanea, quanto alla quale sarebbe doveroso occuparsi di ben altre faccende.

Rifacendosi dunque in questo modo solamente al Libro Rivelato, all’Inviato d’Iddio Altissimo, al suo esempio, ed alle sue narrazioni. Varrà la pena d’osservare, a questo medesimo riguardo, che amputare dal Libro e dalle narrazioni una parte di quello che v’è contenuto, sarebbe risultato di un assunto affatto arbitrario ed innovativo, che altererebbe completamente la via dell’Islam, vale a dire, della completa sottomissione ad Iddio, eccelsa Ne sia la lode, sostituendola di fatto con un’altra strada, a quella non confacentesi.

Visto che dovremo riferirvici, questo significherà accettarne tutto quello che vi viene incluso, oppure che ne consegue. Senza poi prescindere dal fatto che, in realtà, estrapolare principi da principi, e conseguenze da principi, e conseguenze da conseguenze, finirebbe col portare anche ad una distorsione d’ordine operativo, nel senso che tutto questo condurrebbe da ultimo nell’effettualità a non sapere più bene per chi e che cosa adoperarsi e combattere, venendo meno quei lineamenti che identificano gli obiettivi dell’agire attuativo.

Dato che si siano omesse certe peculiarità qualificanti a questo medesimo riguardo, che ne sarebbe di fatto della realtà della Guida, con la sua rappresentanza in vario modo visibile? Che ne sarebbe di tutto quel patrimonio e dottrinale ed operativo, che darà un senso compiuto a che ci si batta sulla via d’Iddio, sia magnificato ed esaltato, stabilendo quella mediazione vicaria tra i vari livelli dell’essere, che farà sì che tutto questo venga ad avere significato e realtà, vale a dire, di fatto, oltre ogni estrapolazione?

Lo si vede bene, che quando un qualche anello della catena delle mediazioni viene a mancare, quando ci si riconduca a rifiutarne un qualche elemento, allora di contraccolpo, ci si ridurrà all’incapacità di operare correttamente, perché si verrà a questa stregua a dovere accettare talune condizioni limitative, le quali in definitiva verranno ad essere d’impedimento, a che la profusione divina abbia a manifestarsi in tutta la sua compiutezza ed efficienza. Si avranno dunque in questo modo, od inazione, o distorsioni snaturanti.

Tanto che non vi sarà certo da menare nessuno scandalo dal fatto di ricordare ai fratelli di fede, pur con tutte le cautele ed i modi dovuti, che fu proprio da quell’abuso che seguì alla morte del Nunzio divino, da quel consesso illegittimo che ne elesse un successore al cospetto degli uomini, non d’Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, secondo le Sue stesse indicazioni, che ebbero origine tanti traviamenti e tanti orrori, siccome causa occasionale almeno, se non efficiente completa, degli abusi dell’anima concupiscibile e passionale, XII, 53.

Errore simile, anche se non identico, a quello di quanti, rifiutando la funzione dell’intelligenza, con riferimento e nesso alla sua dimensione eminente, trascendente e presenziale, si danno in definitiva ad un’attitudine di mera attesa passiva ed incapacitante del palesamento glorioso finale dell’Atteso Ben Guidato. Attitudine che viene sbugiardata dalle stesse ingiunzioni coraniche, dato che alla creatura umana spetti di riflettere, operando poi di conseguenza, come vi viene affermato reiteratamente ed insistentemente.

Essendo l’uomo un elemento non passivo del concento universale, al quale spetterà d’espletare i vari aspetti della propria natura, senza la qual cosa la stessa profusione della luce divina verrà, se non impedita, certo in un certa misura ostacolata, almeno ritardata nel suo ineluttabile esito finale. Con tanto, ci permettiamo di rimarcarlo, di atteggiamento arrendevole nei confronti e della miscredenza, e degli avversari interni della fede, della qual cosa fa parte a pieno diritto il cosiddetto “dialogo”, nel suo senso aberrante sopra esposto.

Attitudine infingarda che ha portato, o viene a fondarsi, su una concezione meramente passiva della cosiddetta “pazienza, in arabo “şabr”, di cui il Sacro Corano ingiunge invece di farsi carico persino sul campo di battaglia, II, 250, e III, 146, della lotta estrema sulla via della realtà e dell’esito divino. Avendo essa prodotto autentici disastri per la Comunità dei Credenti, indotti a solo a subire, nell’attesa passiva di una salvezza che verrà alfine, ma al momento della quale si dovrà rendere conto della mancata cooperazione al disegno divino, IV, 75.

Nulla andrà tenuto in non cale di quel che procede dall’eminenza della Rivelazione e dell’esempio dell’Inviato. L’una e l’altro dovranno sì unire, ma senza che ne vengano meno conseguenze e premesse necessarie, con tutti quanti gli annessi giudizi di valore, i quali daranno un contenuto ed un senso all’agire umano, in tutta la sua completezza, alla quale ci si dovrà in ogni caso attenere, per quanto ciò sia possibile, senza tentennamenti di sorta, senza rinunzie nella ricerca vana dell’altrui compiacimento, non di quello divino.

Perché l’unità sarà alcunché d’eminente, la quale non procede, ma che in quanto compito non può prescindere dalle differenze. Perché l’unità è l’invito ad un dovere, non certo la dimenticanza o la cancellazione di tutto quel patrimonio esistenziale, operativo e dottrinale, che ci mette in grado di batterci sulla via d’Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, secondo la nostra compiutezza. Essendo dunque solo quella compiutezza, non altro, che verrà a dare un senso alla nostra lotta, al nostro procedere nel verso della Sua attuazione.

Tant’è che, a differenza di quello che affermano taluni male illuminati interpreti quanto a questo medesimo dovere, quella che noi consideriamo di diritto la Guida di tutti Musulmani più volte ha fatto menzione nei suoi discorsi di movimento “sciita”, vale a dire, della corrente dei seguaci della Famiglia immacolata del Nunzio divino. Che è il medesimo che la “Parte d’Iddio”, in arabo “ĥizb”, di “quelli che vinceranno”, V, 56, di cui Abramo, così come gli altri Nunzi divini, la Sua pace su tutti quanti loro, erano membri eminenti, in quanto Suoi Seguaci, vale a dire, della “Sua šīºaħ“, S. C., XXXVII, 83.

Essendo peraltro il tempo presente un lasso terribile della sequela delle vicende umane, nel quale le porte degli inferi sembra abbiano incominciato ad aprirsi, scatenandovisi quelle orde di Gog e di Magog, vessillifere di quella dissoluzione luciferina successiva all’indurimento materiale estremo, come appunto ci spiega Guenon. Orde preconizzate dal Sacro Corano, XVIII, 94, XXI, 96, così come anche dall’Apocalissi Giovannea, la quale, tra i Libri Sacri dei Cristiani, è appunto quello che ci descrive gli eventi ultimi.

Questa ultima espressione potendosi peraltro riferire sia alla consumazione minore di questo nostro tempo, vale a dire, al palesamento glorioso dell’Atteso ben Guidato ed alla discesa dal cielo di Gesù, la pace su di loro, sia alla consumazione maggiore, ovverosia al Giorno del Giudizio Finale, col dissolversi del dominio della contingenza, ed il ritorno al Suo Volto, che permarrà dopo l’estinguersi di ogni cosa, come recita il Duºā’ Kumayl di Alì, la pace su di lui. Essendo l’una la fine dei tempi, l’altra di un tempo, come bene osserva Guenon.

Da ogni parte dunque si vanno moltiplicando i segni inquietanti. Ma il fatto più sconcertante di tutti è certo l’avvicinarsi, e l’avvicendarsi, il prendere corpo di quelle fattezze precorritrici del volto stesso di quell’”Impostore” deforme, il “Dajjāl” appunto dei Musulmani, l’Anticristo dei Cristiani, quale che ne sia la natura e la sussistenza, o quella di una persona, o quella d’un gruppo, od altro ancora, che preluderà a quel palesamento finale, tentando vanamente d’opporglisi. Sarà quella dunque la prova suprema, prima del nuovo inizio di luce.

Essendo il suo il tentativo vano e momentaneo d’imporsi al mondo, ovverosia a questo nostro basso mondo, non riuscendogli a quelli trascendenti, della potenza delle tenebre, con tutto il suo orrore di sovversione, di tralignamento, d’inganno, d’oppressione, di discordia, d’ingiustizia, che allora prevarranno, così come tendono già ora a prevalere nella sua più parte. Quantunque non manchino certo le resistenze, a loro volta in aumento qua e là, seppure con alti e bassi, a dispetto di tutte le forze opposte.

Il fatto è, come dicevamo, che le fattezze esterne di questo supposito del Nemico dell’Uomo sono varie, a prescindere della sua stessa persona. Non solamente quella violenza esterna, che sempre l’accompagna, non sempre quella prevaricazione, ch’egli impone, non solamente stragi, genocidi, ed errori vari, con i quale egli s’adopera per aprirsi la strada tra gli uomini, per terrorizzarli e per conculcarli. Non solamente questo, che è anzi l’aspetto più visibile e più facilmente riconoscibile del suo stesso agire perverso d’oppressore.

Oltre a tutto ciò, anche un potenziale suadente di ammiccamenti amichevoli, che lasciano il tempo che trovano, atti ad attrarre, con la pania viscosa dei vari sorrisi ingannevoli, gonzi, ingenui, ignoranti. Vale a dire, chi verrà messo alla prova, e tutti verremo in realtà messi alla prova, “saremo setacciati, e poi ancora setacciati”, com’è che appunto recita l’Imam Jafar, la pace su di lui, a cominciare da quanti mostreranno d’essere dei suoi, dell’Impostore, da sempre, ab eterno nella sostanza del Decreto divino trascendente.

Tutto questo mercé della sua “argilla”, XVIII, 28, come anche nella Bibbia, della sua sostanza corrotta e predestinata ab aeterno nella Prescienza Divina, ma a cui Iddio, eccelsa Ne sia la lode, non ha chiesto, siccome recita Ibn Arabi sulla scorta delle narrazioni del Nunzio divino e del Sacro Corano, nulla più di quello che egli poteva, II, 286. Donde dovrà poi essere responsabile della sua scelta, della sua dannazione, in virtù di quel deposito primordiale della fede, rifiutato con sgomento dalle altre creature, ch’egli aveva invece accolto, XXXIII, 72, costruendosi così il suo inferno con le sue stesse mani, XXX, 41.

Contro quello che egli stesso ab origine, forse in quella plenitudine esemplare, in quel mondo della nebulosità impalpabile, in arabo “ºamā’, che secondo le narrazioni precedette la creazione del mondo, o nella luce dell’Intelletto Primo, oppure nella stessa Sostanza Divina, ebbe ad accettare, nella sua risposta affermativa alla Sua domanda primordiale: “Sono Io il vostro Signore?”, VII, 172. Sulla scorta di quella sua natura originale, nella quale Iddio, sia magnificato ed esaltato, lo creò ab origine, riversandosi i Suoi nomi, II, 31.

La qual cosa avrebbe quindi tolto ogni vana scusa successiva, ogni pretesto fuorviante a che egli avesse in seguito a rifiutarNe la servitù adorante ed i dettami attuativi, dal loro principio, o dai loro principi, alle conseguenze, quelle palesi secondo la legge di natura, identica a quella Rivelazione, la quale ne fa perspicue e vincolanti anche le conseguenze non palesi ed immediate, perché Egli non impone a nessuno oltre le sue possibilità, II, 286, VI, 152.

Dicevamo dunque quanto al cosiddetto “dialogo ecumenico”, di un invadente e fuorviante apparato di sorrisi ingannevoli, sempre più accattivanti, tra ammiccamenti, ed i torbidi contorcimenti sentimentali d’un amore preteso “universale”. Ma che nulla ha a che vedere con quell’amore fondato sulla visione intellettiva delle identità varie della Sua luce profusa, con piena nitidezza di distinzione di tutto quel che ne consegue, dando corpo all’alito del Suo beneficio, senza nessuna confusione e senza nessuna separazione.

Avendosi qui invece, in questo modo, tutta una poltiglia informe, nella quale la separazione la fa da controparte alla confusione ed all’indistinzione dovute al materiamento. Queste ultime in quanto inversione e caricatura immonda di quell’unità ed Identità, la quale in sé medesima e nelle sue profusioni sarà invece nitidezza di distinzione, ed unità della visione intellettuale presenziale. Nulla dunque di tutto questo, nulla che abbia a che vedere con l’ordine delle dignità degli esseri, secondo l’intelletto trascendete.

Essendo in effetti le profferte velleitarie di quel preteso amore universale solamente vacue estrapolazioni astratte riempite di sentimentalità, che la faranno da controparte di quella sudicia poltiglia informe, sensuale, concupiscibile, e passionale, alla quale in definitiva va ad applicarsi, nella pretesa assurda di farne la legge suprema del mondo, ma facendone invece il succedaneo illusorio ed erroneo dell’amore autentico dell’intelligenza trascendente. Riferendovisi dunque, secondo il giudizio di valore che compete ad entrambi, quella stessa contraffazione infera a cui quello va ad applicarsi.

Ed è così dunque che ad esempio, in ambito cristiano, o meglio, cattolico romano, il che è più grave, abbiamo avuto modo di assistere alle penose esternazioni di un Pontefice che, senza mostrare di averne capito nulla, se la prendeva con i pretesi “Profeti di sventura”. Questo in nome di quei suoi “segni dei tempi”, che egli identificava non con le premesse della dissoluzione, ma con quelle “magnifiche sorti e progressive” di matrice massonica, delle quali altri ebbe a dire, venendo perciò fatto passare per il “Papa buono”.

E quindi ad un altro che la fece da complice attivo dei piani framassonici della liberaldemocrazia usuraia internazionale, altro che “liberazione dei popoli”, con la conseguenza di guerre continue con stragi innumerevoli, ed un crescendo d’oppressione e corruzione. Che ebbe l’ardire di riconoscere nel criminale di guerra e di pace che gli aveva fatto da intermediario della sua ispirazione infera, che Iddio lo maledica e lo sprofondi, un “grande capo democratico”.

Attestando inoltre la permanenza dell’elezione, di fatto invece condizionata, di quel medesimo popolo d’Israele, riprovato e condannato dal Sacro Corano e dal Nuovo Testamento, per il suo tralignamento e la sua superbia, proclamando la ‘fraternità maggiore” di quello che era di fatto oramai un ramo secco e traviato della vicenda della Rivelazione Divina, avendo peraltro a dare un attestato visibile del suo prossimo esito infausto poco prima della sua morte.

Andando avanti con un preteso “tradizionalista”, “Benedetto” non si sa da chi, che ravvisava negli Stati Uniti d’America una nazione “religiosa”, nel senso di Lucifero sì e della Framassoneria, ci permettiamo noi d’’aggiungere, festeggiando, ospite onorato il suo ottantesimo compleanno, in quella “Casa Bianca” centro dell’oppressione, delle ruberie, delle strage, dei genocidi, della corruzione, accolto da quello che va forse considerato più grande criminale di guerra di tutti i tempi. Che ebbe ad esaltare, ancor peggio del primo, nel ramo secco degli Ebrei attuali, le radici sue, e di quelli come lui.

Che ebbe quindi a permettersi d’attestare, che Quello Stesso Che i cristiani invocano, come fece lo stesso Gesù, la pace su di lui, come risulta dal loro stesso Libro, nel Padre Nostro, dicendo “sia fatta la Tua volontà”, avrebbe rinunziato a favore dell’uomo, o peggio, dei suoi “diritti”, alla Sua stessa Onnipotenza. Per garantirne nientemeno appunto che i famigerati cosiddetti “diritti umani”, gli stessi concessigli gentilmente dai frammassoni delle Rivoluzioni Americana e Francese, e dal consesso della Nazioni Unite senza dio.’

La stessa cosa che affermarono nell’ambito dell’Islam i Mutaziliti, riprovati dalla Comunità dei Credenti, con la dottrina della “delega” divina, in arabo “tafwīď“, rifiutata in primo luogo dalle Guide delle Genti della Dimora del Vaticinio, dottrina che in definitiva è anche quella, alquanto infantile, di Cartesio, padre conclamato del pensiero moderno, con la sua concezione della macchina dell’universo, sottoposta all’impulso divino solamente iniziale.

Dimenticandosi degli apparati dottrinali di Tommaso d’Aquino, con la sua “predeterminazione fisica”, che mette tutto nelle mani d’Iddio sia magnificato ed esaltato, anche la libertà dell’uomo, ma senza che essa venga lesa alla maniera dei Protestanti, del “servo arbitrio” di Lutero. Oppure anche la “scienza media” del Molina, tra quelle degli enti possibile e necessari, che trova il modo anch’egli d’accordarla con onnipotenza divina, per tacere, a questo medesimi riguardo della sapienza islamica, nella fattispecie quella delle Guide Suddette, che rigetta gli estremi della delega e del conculcamento.

Per giungere all’ultimo, al sedicente Papa Francesco, se la legittimità anche formale dell’elezione papale sarebbe stata compromessa dalla sostituzione forzata ed illegittima di Giovanni XXIII a Gregorio XVII, a dire di taluni. Il quale manda, col suo sorriso melenso e perenne all’americana, i miscredenti in Paradiso, riducendo la coscienza umana, sempre valida e giustificatrice per lui, ad un livello inferiore a quello dei Protestanti, che pure pretenderebbero il loro presunto “libero esame” individuale illuminato dalla luce dello Spirito Santo.

Che esalta Eugenio Scalfari, senza dio dichiarato, ed Emma Bonino, forse per il suo celebre aborto col bastone nella vulva, cosi come l’immondo e sconcio Giacinto Pannella, detto Marco, sozzo immondezzaio ambulante di tutte le sconcezze contemporanee, propugnatore di droga, aborto, libertinaggio ed inversione sessuale, nascondendosi dietro il velo di un vieto ed abusato umanitarismo, che lascia il tempo che trova, per coprire le sue poco edificanti imprese.

Che proclama per parte sua, la fine della Chiesa Cattolica, ridotta a modesta “portinaia”, all’inizio di scale ed ascensori certo discendenti, dopo d’averla trasformata in Chiesa “universale”, invece che “Cattolica Romana”, sull’onda di quel “dialogo ecumenico”, del quale stiamo appunto trattando, forse ignorando il significato del termine “cattolico”, che in greco antico significa appunto “universale”, forse l’ultimo Papa, secondo le predizioni di Malachia. Come farebbe intendere il rifiuto di fare seguire al suo nome un numero d’ordine Del che non ci rammarichiamo certo, se il prossimo, a Iddio piacendo, secondo avvento del Cristo, ne casserà la pretesa funzione vicaria, anche secondo quel riguardo meramente formale che sembrava avesse voluto sopravvivere a tutto ed a tutti, ad ogni magagna, alle imposizioni costantiniane, alla pornocrazia papale di Marozia, con tanto di Papessa Giovanna, non si sa se inventata o no di sana pianta, al cesaropapismo ottoniano.

Così come al servaggio francese, che mise l’Italia alla mercé degli orrori guelfi ed angioini, alla “servitù babilonese” d’Avignone, alla materialità godereccia ed agli abusi delle corti rinascimentali, all’opportunismo profittatore dei vari “Cardinal nepote”. All’appoggio, severamente condannato da Dante Alighieri, concesso, contro il principio imperiale ghibellino avviato con Carlo Magno in Occidente dalla Chiesa stessa, a quelle medesime forze borghesi e nazionali, mercantili ed usuraie, come alla città di Firenze loro centro, che in seguito avrebbero fatto di tutto per compierne e sancirne la morte, e così via dicendo, in questa galleria degli orrori.

Chiesa “una, santa, cattolica apostolica, romana”, che ebbe in Occidente sino a Pio XII compreso, non con Giovanni XXXIII, Paolo VI, Papa polacco, Benedetto XVI, né tanto meno con “Papa Francesco”, specialmente dopo la fine del Medioevo, quando in una certa misura ebbe a rendersi conto degli errori commessi in precedenza, un ufficio di argine morale, e di barriera dottrinale, persino in quegli aspetti da noi non condivisibili. Tanto che il Sillabo di Pio IX, e la condanna del modernismo di Pio X, restano indubbiamente pietre miliari nella lotta agli errori del mondo moderno e contemporaneo.

Dando forma e sostanza, dopo la fine dell’evo antico, ad una civiltà autentica e completa, quella di Tommaso d’Aquino e di Dante, giunta alle vette della spiritualità, e della stessa formazione della comunità umana d’Occidente, a prescindere dai difetti di cui sopra. E che, messa sulla difensiva dal precipitare degli eventi, non rinunziò mai, sino a Pio IX, a Pio X, ed a Pio XII, prima dei tralignamenti del Concilio Vaticano II, a fare da barriera morale e dottrinale contro il pervertimento e la sovversione d’Occidente.

Prima che tutto fosse assai significativamente compromesso, vale la pena ripeterlo, specie da quell’ultimo, presunto Papa Francesco, dati i suddetti dubbi sulla sua stessa legittimità formale, che da buon perito chimico, quale egli era prima di darsi ad altri studi, avrebbe forse fatto meglio ad occuparsi dei calcoli stechiometrici, nei quali forse sarebbe riuscito assai meglio che nelle scienze divine, dati l’assenza di esiti, o gli esiti assai penosi in questa sua ultima incombenza. Perché neppure con i Borgia si era vista tanta degradazione.

Papa Francesco il quale assai significativamente, oltre a togliere ogni sanzione canonica sacramentale contro l’aborto indiscriminato, difende in un modo più o meno aperto quell’abominio dell’inversione sessuale, giunta ai nostri giorni oggi sino all’inverosimile dell’assurdo. Con abusi quali non si erano visti in nessun tempo, neanche nell’Ellade antica, e forse neppure in quella celebre città di Lot, la pace su di lui, della quale si narra nella Bibbia e nel Sacro Corano, distrutta alfine dall’ira d’Iddio, sia magnificato ed esaltato.

Con tanto di sconci matrimoni pretesi legali, per la legge umana, non certo per quella divina, di affidamento criminale di fanciulli innocenti e sventuratissimi alle loro voglie schifose, con il prossimo venturo perseguimento penale, forse anche retroattivo, di chi osi opporsi a tanto sudicio abominio. Nell’attesa di altri orrori, di altre nefandezze, la cui lista sarebbe peraltro già pronta, tanto che abbia ad accettarsene il contenuto perverso, essendo peraltro in Occidente le voci di dissenso poche e soffocate.

Non è certo con simili figuri che si potrà o dovrà discutere. Tranne nel caso in cui, come ebbe a dire la Guida dei Musulmani Alì Ķameneī, quanto all’eventualità consimile di coloro che hanno per mestiere di sporcarsi le mani del sangue delle loro vittime, leggi americani, sionisti, europei, e regoli arabi, li si debba ammonire, per dire loro “temi Iddio, Ne sia esaltato l’essere, recedi dal ludibrio del tuo sozzo abomino, rinunzia alfine ad uccidere, a corrompere, ad ingannare col sorriso sulle labbra, pentiti dei tuoi peccati”.

Tanto da fare comunella con i peccatori peggiori, con gli oppressori dell’umanità, come Obama, Netanyahu, ed altri ancora, che Iddio li maledica e li sprofondi, che Egli ha maledetto, le Guide della miscredenza che Egli ha ingiunto di combattere, S. C., IX, 12, 29, per confermarli in definitiva, coi loro intrattenimenti amichevoli, nei loro peccati e nei loro crimini. Tutto il contrario di quello che faceva invece Gesù, la pace su di lui, invocato a sproposito a questo medesimo riguardo, che invece li redimeva e trasformava.

Tanto che oggi il contatto, e se vogliamo dire il “dialogo”, andrà ricercato da parte musulmana, od almeno di quelli che si richiamano all’Islam autentico, piuttosto con quella Cristianità Orientale, con quell’Ortodossia mantenutasi, per lo meno in certe sue varianti, in generale immune dal degradamento occidentale. Al quale essa non ha mai contribuito in nessun modo, forse proprio in ragione di quella sua indole orientale, che la distingue in seno all’Europa stessa, e nell’Asia Anteriore, come direbbe giustamente Guenon.

Com’è anche stato confermato dalla presente alleanza pubblica e militare, con quella Russia che oggi ha ritrovato, dopo la chiusura a suo modo provvidenziale della materialità del comunismo marxista, sforzandosi di sfuggire agli adescamenti dell’Occidente corruttore e prevaricatore, sotto la Guida del rigenerato Patriarcato di Mosca, la sua indole cristiana. Col posto che le spetta nel fronte che si batte con la sovversione mondana ed infera, capeggiata nell’ambito visibile da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, e Regoli arabi.

Ravvisando mercé dei suoi migliori esponenti nell’ambito culturale e spirituale, com’è ad esempio per Alexander Dugin, nell’Iran della Rivoluzione Islamica e della Guida spirituale dei Musulmani, che viene da Iddio, sublimi Ne sono i nomi, non dagli uomini, posti alla testa del fronte dei credenti autentici, il suo alleato per eccellenza in quella lotta cruciale, che prelude assai verosimilmente all’esito finale di questo nostro tempo. Alleanza la quale peraltro ha portato nell’ambito visibile a risultati assai rimarchevoli.

Veniamo adesso, o meglio torniamo al nostro mondo musulmano, Avendo detto già in precedenza quale fosse il senso della tanto conclamata ”unità”, per quello che lo concerne. Il fatto è che al presente, appunto sulla scorta di quegli eventi cruciali, che dicevamo sarà affatto lecito almeno presumere, possano preludano alla consumazione degli eventi di questo nostro tempo, di un tempo, non dei tempi, sarà possibile ravvisare, per quello che lo concerne, tutta una serie di abomini, i quali stanno tentando d’intaccarne la sostanza stessa.

Abomini che, falsandone sino all’inverosimile la realtà, ne presentano al mondo di proposito una contraffazione invertita, una caricatura infernale, secondo la legge generale della corrispondenza e dell’inversione dei segni. Dicevamo dunque che l’unità, alla quale attenersi sotto il riguardo operativo, non significa certo l’obliterazione, di fatto e di principio, in un senso sia effettuale, sia trascendente, di tutto quel patrimonio sapienziale, dottrinale ed attuativo che ha consentito alla sua variante più genuina di sopravvivere, e d’affermarsi provvidenzialmente in questi tempi, certo i più difficili, i tempi ultimi.

Quando la Guida dei musulmani dice di “passaggio” dalle differenze all’unità, non intende certo negare queste ultime, siccome pretenderebbero invece insipientemente ed imprudentemente certuni. Significando con ciò l’opporsi alle mene dei nemici d’Iddio, sublime Ne sia la lode, e dell’uomo, condividendo quel patrimonio comune, a cui si attennero col loro esempio le Genti pure della Famiglia immacolata del Nunzio divino, posponendovi e sacrificandovi, all’unità della Comunità dei Credenti, le proprie persone e vite mortali.

Non certo rinunziando ai loro diritti, d’origine trascendente, il che quelle Genti benedette non potevano certo fare, inconcussibili e stabiliti com’essi sono ab aeterno da Iddio stesso, sia magnificato ed esaltato. I quali diritti indefettibili costituiscono la garanzia medesima della sopravvivenza non solamente della Comunità dei Credenti, ma dell’umanità intera, sotto il riguardo dell’essere oltre che quello morale, così come dello stesso universo creato, se andiamo a ravvisarne le radici esistenziali nella medesima Trascendenza Divina.

I nostri compagni di lotta sono dunque i nostri fratelli. E non soltanto i Musulmani, per dirla più correttamente, ma anche i Cristiani, e tutti quegli uomini liberi di buona volontà, nobili ed oppressi, com’ebbe a dire l’Imam Ķomeynī, che abbiano ad attenersi a quel principio irrinunciabile per cui Egli, l’Uno, è il solo nostro Signore, quantunque implicitamente, o senza volerne o poterne trarre tutte quelle debite conseguenze irrinunciabili, necessarie quando ci si abbia a volgere ai principi con purità d’intelletto, o se Ne accetti il Messaggio.

Ora avremo da un lato quel cosiddetto “ecumenismo”, che prendendo le mosse dal mondo cattolico, o non più tale, dopo il Concilio Vaticano II, fa d’ogni erba un fascio, bruttando ogni eminenza nel nome di un informe appiattimento riduttivo. Tornando sempre in definitiva a favore di chi tira le fila della squallida tresca, andando sempre a fare gli interessi di chi sta in basso, senza tendere a chi sta in alto, delle bassure infernali, non della dei vertici della conoscenza attuativa, della sozzura del fango, non dalla purità delle vette.

Portando poi a risoluzioni comuni come quella che, in un recente incontro islamo cristiano, condannava sì le persecuzioni religiose, ma andando tenuto conto del fatto, che la propaganda occidentale le attribuisce falsamente e pretestuosamente, fatta eccezione per wahabiti e salatiti, che Musulmani non sono, ma manutengoli dell’Occidente, in tutta ignoranza colpevole o malafede, proprio all’Islam, finendo col condannare solo quest’ultimo. Non certo biasimando le complicità con i poteri mondani ed inferi, prevaricatori e degradanti, ai quali si sono prostituiti indecentemente i vari fautori dell’”amore universale”, e del “dialogo ecumenico”, della “democrazia”, e dei “’diritti umani”.

Vale a dire, dei diritti estrapolati dell’ultimo tra gli uomini, dell’infimo tra gli infimi, S. C., XCV, 4-5, non del suo modello trascendente e perfetto in divinis. Con tanto di quell’amore sentimentale, basso, torbido, sporco, fangoso, nella sua negazione pretestuosa di quello fondato invece sull’intelligenza trascendente, che tiene pienamente conto delle dignità esistenziali, come afferma Tommaso d’Aquino, confermato da Ibn Arabi e da Molla Sadra. È a questi fondi inferi che ci si vorrà così ridurre, invece che ai principi divini.

Perché come dicevamo, il rapporto, o disputa, o discussione, o monito, ad anche il “dialogo”, preso nel suo significato genuino e non contraffatto, che dir si voglia, sarà certo qualcosa d’imprescindibile, così com’è imprescindibile la notizia d’Iddio, sublimi Ne sono i nomi, al mondo, che lo costituisce. Implicando dunque esso la realtà stessa dell’essere, lande verrà ad avere il senso di bandirla e predicarla, com’è che appunto fecero Gesù, la pace su di lui, e Muhammad, benedica Iddio lui e la sua Famiglia immacolata.

Non trattandosi d’accettare supinamente gli errori dell’avversario, non di mettere da parte le differenze d’essere e non essere, giustizia ed ingiustizia, rettitudine e fallacia In ogni caso tenendo conto del fatto, che con taluni non avrà più nessun senso conversare o dibattere, il che sarebbe dare loro una qualche dignità, che invece hanno perduto del tutto, e non avranno mai più, perché la loro sarà una via senza ritorno, la via di coloro che, per dirla con Dante, “hanno perso il ben dell’intelletto”, e sono stati esaminati, giudicati e condannati, come il re di Babilonia nella Bibbia alla vigilia dell’avvento di Ciro.

Come fece Gesù, la pace su di lui, che disdegnò di rispondere ad Erode, maledisse i farisei, e frustò i mercanti nel tempio, come fecero il Nunzio dell’Islam con gli Ebrei di Ķaybar, Elia con i sacerdoti di Baal ed Alì con i Ķarigi, Mosè con quelli del vitello d’oro, passati a fil di spada, la pace su di loro. Come fece anche l’Imam Ķomeynī, allorquando i manutengoli dell’oppressore sanguinario gli proposero un abboccamento, ai quali disse “sono persona di colloquio e di discussione, ma con quella gente non discuto”.

Anche se Gesù ed Alì, la pace su di loro, ebbero scambi verbali iscritti con Pilato, Caifa, Muhawia il maledetto, così come Muhammad, benedica Iddio lui e la sua Famiglia, con i Re di quel tempo, e più recentemente l’Imam Ķomeynī non rifiutò di ricevere e farsi intervistare persino da una baldracca fallita, una pennivendola come Oriana Fallaci, fallace come il suo nome, “nomen numen”, come dicevano gli antichi, Iddio la maledica e la sprofondi, nemica giurata dell’Islam, per comunicare loro messaggio, l’appello, il monito divino.

Dunque a seconda dei casi, discutere, annunziare, ammonire, oppure ricusare ogni contatto, almeno nella terza eventualità senza fraternizzare, secondo gli esempi suddetti. Certo tutto questo sarà difficile, occorrerà essere capaci di discernere gli spiriti, capire chi è perduto e chi no, tanto che a nostro avviso, nella maggior parte dei casi, sarà assai più opportuno e sicuro rifiutare ogni contatto, a scanso di equivoci e di contraccolpi indesiderati, i quali abbiano a ledere l’integrità del singolo che dovesse farsene carico.

Ora è da qualche tempo a questa parte che, come ha giustamente osservato la Guida dei Musulmani, anche nel mondo islamico, seguendo i vezzi “ecumenici” di un cattolicesimo pervertito, che ha già superato i limiti delle defezione, si è andata diffondendo la fissazione ossessiva del “dialogo” ad ogni costo, inteso questo nel suddetto senso depravato e spurio, con tutti. Senza discutere, non presentando il proprio argomento, se si è veridici, per giungere ad un risultato univoco, conformemente all’ingiunzione coranica, XXVII, 64.

Con tutti ci si ridurrebbe in definitiva a sorridere, alquanto stolidamente, nella pretesa che solo così, ammesso che lo si voglia, con questa falsa pesta che se non si coprisse così a mo’ di simulazione, addurrebbe ogni sorta d’insulto e di calunnia, si avrebbero a ricondurre alla ragione quei cuori induriti, i quali invece, rifiutate che abbiano le esortazioni dei Nunzi divini, saranno con tutta probabilità liquefatti infelicemente soltanto dal fuoco dell’Inferno.

Un sorrisetto basterebbe a fare quello che altri non ha fatto, ben più in alto di noi, vale a dire Iddio stesso, sia magnificato ed esaltato, tramite i Suoi Nunzi con il Suo Verbo, dimenticando che in questi casi il silenzio od il monito sono la risorsa migliore. Con tutti si dovrebbe dunque ridacchiare o sorridere, accettandone tutte le mene, le brighe, gli abomini, come “Papa Francesco”, col suo sorriso o stolido od ingannatore che lascia il tempo che trova.

Da qualche tempo a questa parte taluni hanno incominciato a trescare, per loro stessa scelta, facciamo riferimento alla nostra comunità, con autentici tizzoni d’Inferno, con i rigurgiti schifosi del vomito della simulazione, con gli escrementi della miscredenza e dell’abiura. A tutti sono noti gli abomini dei Wahabiti prevaricatori, i crimini immondi dei loro Regoli beduini, simulatori, beoni, sifilitici, traditori, ed omicidi, ributtante sottospecie subumana.

Che hanno pervaso il mondo dell’orrore indicibile e della puzza nauseante delle loro tristissime imprese, le loro, così come quelle dei loro manutengoli e seguaci ed imitatori vari, da quando, dopo la Prima Guerra Mondiale, vennero messi, nella loro completa estraneità all’Islam, al potere da quel governo di sua maestà britannica, che è stato ed è tuttora uno dei più sconci palesamenti mondani del Nemico d’Iddio, sia magnificato ed esaltato, e dell’uomo.

A tutti sono noti i crimini con cui questi diavoli, “più pertinaci nella miscredenza e nella simulazione”, siccome recita il Sacro Corano dei beduini, IX, 97, hanno aggravato la lista nera del loro già pesantissimo atto d’accusa, che li condanna senza appello agli occhi d’Iddio, sublime Ne sia la lode, della Comunità dei Suoi Credenti, di quelli autentici, ci permettiamo d’aggiungere, invitando alla ripulsa di siffatte imitazioni e caricature infernali.

I peggiori tagliagole sanguinari salatiti al loro servizio sono all’opera in tutta l’Asia Anteriore ed altrove, con stragi, torture, prigionieri innocenti decapitati, crocifissi, ed arsi vivi, donne violentate e vendute schiave, e chi più ne ha, più ne metta, in questa galleria degli orrori, in combutta col grande Satana statunitense, colla bestia sionista, suo parto mostruoso e mentore sempre ascoltato, ed i satelliti dell’Unione Europea e della Nato, proni al loro volere.

Il fatto è costoro, da qualche tempo a questa parte, stanno tentando di darsi, di dare alle loro imprese immonde, specie in Occidente, in quell’Occidente che peraltro li approva e li appoggia, la copertura di un belletto suadente. Avvalendosi degli esponenti, e dei sedicenti “Maestri”, di certi movimenti “sufi” deviati, in una convergenza strana, data la loro previa inimicizia, apparente almeno, ma che la dice lunga sul potere di seduzione e di attrazione dei manutengoli del Nemico dell’Uomo in questo nostro basso mondo.

Ed è così, non è da molto, che ha fatto uno dei pretesi “Maestri” di questi gruppetti a rigore insignificanti, non fossero gonfiati dalla propaganda e dai danari dei poteri mondani? Che fa, mentre le schiere dei migliori credenti di tutte le parti dell’Islam stanno versando il loro sangue purissimo per liberare le città della Siria e dell’Iraq dagli artigli schifosi di quei diavoli immondi, sull’onda della propaganda dell’Occidente prevaricatore, che sulla scorta di calunniosi asserti affatto infondati, com’è costume specie degli anglosassoni dai tempi di Wallace e di Giovanna d’Arco, sta tentando di presentarli come criminali e genocidi?

Uno di questi presunti “Maestri”, invece di condannare chi andava condannato, si è permesso addirittura di rispondere, ad una domanda di quei criminali sul da farsi di quelle stesse donne che essi schiavizzano e stuprano, per difendersi da pretese violenze nemiche inventate di sana pianta, ha osato addirittura rispondere, con un parere giuridico illegittimo e fasullo, per il quale non ha nessuna autorità, di non suicidarsi, di avere fede in “dio”! In un qualche dio, aggiungiamo noi, niente meno! Il bugiardo matricolato, il calunniatore incallito, il complice, il simulatore, l’impostore, il cieco guida di ciechi!

Fede in quale “dio”? Nel suo “dio”, in Satana il maledetto? Ma nulla di più potremmo aspettarci dalla sudicia bocca fetida di menzogna e bestemmia, e dal cuore di tenebra di un figuro siffatto, che ha avvallato tanti e tali crimini dei reggicoda del nemico dell’Uomo, adoperandosi per calunniare quelli che ne difendono le vittime! Il fiore dei credenti, che versano il loro sangue benedetto sulla via d’Iddio, sia magnificato ed esaltato, a pro del genere umano, del medesimo a cui costui invece irride, calunniandone i propugnacoli, sarebbero degli stupratori!

Altri personaggi vanno a braccetto con tali magnifici esemplari della specie umana, si fa per dire, con gli allievi di Hind, la baldracca mangiatrice del fegato dei campioni della fede, di suo marito Abu Sufian, il capo dei miscredenti che s’opposero al Nunzio divino, del loro degno figlio Muhawia, il ribelle soppiantatore. E dulcis in fundo, del degno figlio di costui Yazid, il carnefice della Famiglia benedetta dell’Inviato d’Iddio Altissimo, su cui addirittura invocano e preconizzano il perdono divino, perché perdono per tutti, ma non per chi s’adoperano sulla Sua via combattendo i Suoi nemici.

Costoro sono purtroppo scelti da taluni fratelli ingenui nientemeno che come interlocutori privilegiati di colloqui amichevoli. Con tanto di sorrisetti, di ammiccamenti e di riconoscimenti reciproci. È a questo punto che sono dunque giunte le cose, com’ebbe a dire l’Imam Alì, la pace su di lui! Per non farli scappare, dicono! Da che cosa? Non farli scappare dalle loro pesantissime responsabilità, e dal monito divino? Sarà tutto in contrario, in effetti!

Per colmare la misura, esponenti immondi del peggior sionismo internazionale, le fattezze deformi del cui volto, il sorriso di scherno infernale, la voce stridula e chioccia, come quella del diavolo Pluto nell’Inferno dantesco, dovrebbero pur sempre dirla lunga, inducendo ad un qualche sospetto, non fosse per le imprese reiterate di siffatti mascalzoni, esemplari, della loro propaganda fuorviante, del loro stare sempre dalla parte di oppressori, ed ingannatori, e dei loro crimini che gridano vendetta in cielo in terra.

Siffatti individui ributtanti vengono scelti anch’essi come interlocutori con cui fraternizzare, accattandone od accettandone con orgoglio interviste penose, nel corso delle quali taluni la fanno penosamente da vecchi amici, con tanto di apprezzamenti reciproci, nella disperata ricerca di un qualche riconoscimento, da parte di costoro, dai figli di Satana, dai complici e propagandisti degli esecutori dei suoi crimini? Temi Iddio, sia magnificato ed esaltato, e basta, quand’anche si volesse avere con loro uno scambio verbale.

Noi vogliamo sperare che questi errori possano essere presto emendati, noi vogliamo sperare, che questi fratelli non si facciano più ingannare e fuorviare dal sorriso accattivante da Lucifero di questi squallidi soggetti, noi ci aspettiamo che sappiano vedere alfine al di là delle loro maschere grottesche, potendosene ben dire, con il Sacro Corano: “Essi si sono alleati con coloro con cui Iddio è adirato, essi sono il partito di Satana, essi sono i perdenti”, LVIII, 14, 19.

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