Solo l’Assoluto è reale: spazio, tempo e materia come strutture fenomeniche; dissoluzione del falso dilemma cosmologico
Un’analisi rigorosa sull’Assoluto come unica realtà: spazio, tempo e materia come fenomeni, il falso dilemma cosmologico e i limiti ontologici della scienza.
21 dicembre 2025, di Mostafa Milani Amin
Solo l’Assoluto è reale: spazio, tempo e materia non possiedono realtà ontologica propria ma statuto fenomenico; il falso dilemma cosmologico è dissolto, il materialismo e il fisicalismo sono confutati e la scienza viene ricollocata entro i suoi legittimi limiti ontologici senza perderne validità descrittiva.
Solo ciò che è assoluto è reale. Questo principio, che può sembrare metafisico in senso tradizionale, costituisce in realtà una regola di intelligibilità universale: ciò che dipende, è relativo, condizionato o determinato non possiede realtà ontologica propria, ma esiste solo come modo dell’apparire. Tutto il trattato sviluppa rigorosamente questa tesi e ne trae le conseguenze necessarie sul piano cosmologico, scientifico, epistemologico e antropologico.
Il celebre dilemma sull’universo, se esso sia finito o infinito, è un falso problema. Finito e infinito sono predicati che presuppongono estensione, misurabilità e durata, cioè spazio e tempo assunti come realtà. Ma spazio e tempo non sono assoluti e dunque non sono reali in senso ontologico. Essi appartengono al dominio del fenomenico, come strutture attraverso cui il mondo appare, non come fondamenti dell’essere. Di conseguenza l’universo non è né finito né infinito: la domanda collassa perché applica categorie derivate alla totalità ultima.
La fisica moderna conferma in modo decisivo questa dissoluzione del problema. La relatività generale mostra che spazio e tempo non sono entità assolute, ma grandezze dinamiche dipendenti da stati fisici e relazioni. La meccanica quantistica, a sua volta, elimina l’idea di oggetti materiali autosussistenti e mette al centro stati, correlazioni e strutture matematiche. In molte formulazioni avanzate, spazio e tempo emergono da relazioni più fondamentali e non costituiscono il livello ultimo della realtà. La scienza, lungi dal fondare il materialismo, ne erode progressivamente i presupposti.
Il materialismo, in tutte le sue varianti, fallisce perché assume come realtà ultima ciò che è derivato. La materia è definibile solo in termini spaziali e temporali; dipende dunque da ciò che non è assoluto. Inoltre il materialismo presuppone leggi, strutture matematiche e verità logiche che non sono materiali e non possono essere ridotte coerentemente alla materia senza circolarità. L’emergentismo non salva questa posizione: se il mentale o il normativo emergono realmente, allora non sono riducibili al fisico; se non emergono realmente, l’esperienza è negata. In entrambi i casi il materialismo collassa.
Anche l’ontologia relazionale radicale, secondo cui esistono solo relazioni o strutture senza termini autosussistenti, non può costituire un’ontologia ultima. Una relazione senza relati è concettualmente vuota e una struttura senza fondamento conduce a un regressus infinito. Le relazioni descrivono il fenomenico con grande efficacia, ma non possono spiegare se stesse senza presupporre un principio non relazionale.
Da queste confutazioni emerge la necessità di una metafisica dell’Assoluto. L’Assoluto non è un ente tra enti, non è una causa temporale, non è una sostanza estesa. È unico, incondizionato, non spaziale, non temporale e non molteplice. Non è qualcosa che “esiste” accanto ad altro, ma ciò per cui qualcosa è. Il mondo non è un’illusione, ma una manifestazione: reale solo in senso derivato, dipendente ontologicamente e non temporalmente dall’Assoluto.
Questa struttura metafisica converge con le grandi tradizioni del pensiero: l’Uno di Plotino oltre l’essere, la sostanza unica di Spinoza, l’Essere necessario di Avicenna, il Brahman dell’Advaita Vedānta. Linguaggi diversi esprimono la stessa intuizione fondamentale: solo l’incondizionato è reale, il condizionato non lo è in senso proprio.
Applicata alla filosofia della mente, questa impostazione dissolve i principali falsi problemi. La coscienza non può emergere dalla materia, poiché la materia non è reale in senso forte. La coscienza non è un oggetto né una sostanza individuale, ma una condizione di manifestazione. L’identità personale non è ontologica ma funzionale e narrativa; la continuità dell’io nel tempo è una costruzione fenomenica. Nascita e morte riguardano configurazioni relative, non l’essere.
Le principali obiezioni vengono così neutralizzate. Il naturalismo confonde realtà ontologica e validità descrittiva; il nichilismo nasce dalla perdita dell’Assoluto, non dal suo riconoscimento; il soggettivismo è evitato perché soggetto e oggetto condividono lo stesso statuto derivato. La vita pratica e la scienza restano intatte nella loro efficacia, ma sono liberate dalla pretesa di assolutezza.
In questo senso, il trattato non si pone contro la scienza né contro l’esperienza comune, ma contro una confusione concettuale che ha dominato gran parte del pensiero moderno: l’identificazione della realtà con ciò che è misurabile. Misurabilità, quantificazione ed estensione sono criteri operativi potentissimi, ma non criteri ontologici ultimi. Assumerli come tali significa scambiare il metodo per il fondamento e trasformare una pratica conoscitiva in una metafisica implicita.
La distinzione tra assoluto e relativo consente invece di comprendere perché il mondo sia stabile senza essere ultimo, intelligibile senza essere autosufficiente. Le leggi scientifiche non sono entità materiali, ma invarianti descrittive che colgono regolarità fenomeniche. Esse funzionano proprio perché il fenomenico è ordinato, ma questo ordine non è spiegabile dal fenomenico stesso. L’Assoluto non compete con le leggi: ne è la condizione silenziosa.
Anche il linguaggio matematico trova qui la sua collocazione corretta. La matematica non descrive cose materiali, ma strutture formali. Il suo straordinario successo nella fisica non dimostra che la realtà sia matematica in senso ontologico, bensì che il fenomenico è formalizzabile. La formalizzabilità non equivale all’assolutezza. Confondere le due cose porta a un platonismo ingenuo o a un riduzionismo mascherato.
Dal punto di vista etico ed esistenziale, la conseguenza è altrettanto decisiva. Se il valore fosse fondato nel relativo, sarebbe contingente e revocabile. Riconoscere che il relativo non è reale in senso ultimo non distrugge il valore, ma lo sottrae alla precarietà ontologica. Il senso non nasce dal caso né dalla necessità fisica, ma dalla partecipazione, sempre indiretta, a ciò che non dipende.
Il trattato non propone consolazioni, né promette salvezze. Non trasforma l’Assoluto in un oggetto di fede o in una entità psicologica. Rimane sul terreno della coerenza razionale. Proprio per questo non chiede adesione emotiva, ma riconoscimento logico. O il principio è falso, oppure le sue conseguenze seguono con necessità. Non c’è una terza via.
In conclusione, l’intero percorso può essere letto come un’operazione di disincanto rigoroso: disincanto dalla materia intesa come fondamento, dal tempo inteso come realtà ultima, dall’io inteso come sostanza. Ma è anche un ri-incanto concettuale, perché restituisce unità, intelligibilità e profondità a ciò che altrimenti resta frammentato e opaco. Non aggiunge nulla al mondo, ma chiarisce il suo statuto.
Quando la filosofia rinuncia a competere con la scienza e la scienza rinuncia a fare metafisica inconsapevole, entrambe ritrovano il loro posto. Il pensiero può allora fermarsi, non per stanchezza, ma per completezza. Dove non c’è più confusione concettuale, non c’è più bisogno di ulteriori tesi. Rimane ciò che è, senza aggettivi.
Nulla di essenziale è escluso, nulla di superfluo è aggiunto.
Mostafa Milani Amin