Viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere?
Una riflessione sulla separazione moderna tra vita e lavoro, che smonta il falso dilemma culturale e ne indaga le radici, mostrando come questa frattura nasca da categorie fasulle introdotte dalla modernità.
18 dicembre 2025, di Mostafa Milani Amin
Un mondo che ci costringe a scegliere tra vita e lavoro è un mondo che ha perduto il centro. Ritrovare l’orientamento significa sciogliere il peso e restituire all’esistenza il respiro che le spetta.
Uno dei dolori silenziosi della modernità è essere trascinati in un dilemma che non ci appartiene: viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere? È la falsa alternativa che ci allontana dal centro dell’esistenza.
È un cerchio che si chiude su se stesso, perché entrambe le vie presuppongono che il centro dell’esistenza risieda fuori dall’esistenza stessa.
La prospettiva islamica (Corano 51:56) non risponde al dilemma, lo dissolve nella sua origine:
وَمَا خَلَقْتُ الْجِنَّ وَالْإِنْسَ إِلَّا لِيَعْبُدُونِ
«E non ho creato i jinn e gli uomini se non perché adorino Me»
Quando il cuore si orienta al Principio, il lavoro torna a essere mezzo, la vita torna a essere cammino, e l’essere umano torna a essere più vasto di ciò che compie. E adorare, qui, non è solo un gesto esteriore: è riconoscersi parte della realtà, anzi nella Realtà, anzi la Realtà stessa.
Non si tratta di scegliere tra vita e lavoro, ma di ricordare ciò da cui entrambi procedono: ciò che non è misurato dal tempo, né valutato dal mercato, né contenuto nelle misure del mondo. È la Sorgente invisibile che precede ogni forma, la Fonte originaria da cui tutto sgorga e a cui tutto confluisce.
Là dove l’intenzione si riallinea, il peso si dissolve. E la vita torna a risuonare con l’arcana frequenza che l’ha generata, la matrice sovratemporale e sovramateriale che precede spazi, tempi e misure.