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Siccità: cambiamento climatico o monito divino?

Riflessione universale sulla crisi idrica: un viaggio tra siccità, cambiamento climatico e risveglio spirituale. L’articolo esplora le radici morali e metafisiche della scarsità d’acqua, proponendo una lettura profonda che unisce scienza, coscienza e tradizione spirituale.

13 novembre 2025, di Mostafa Milani Amin


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Molte regioni del mondo affrontano una siccità senza precedenti. Non basta parlare di clima e cattiva gestione: la crisi richiama l’umanità alla responsabilità morale e a un risveglio spirituale, ricordando che senza coscienza e cambiamento interiore nessuna soluzione tecnica o scientifica potrà bastare.

Iran, Italia e molte altre regioni del mondo stanno affrontando una siccità senza precedenti che mette a rischio comunità, economie e sistemi naturali. Ridurre questa crisi a cambiamento climatico e cattiva gestione significa fermarsi alla superficie del problema, perché la scarsità d’acqua è anche un richiamo alla coscienza collettiva: interpella l’umanità sulla responsabilità morale, sugli stili di vita e sulla necessità di un risveglio spirituale ed etico, capace di riaprire dinanzi all’umanità le porte delle benedizioni celesti e terrene.

I limiti della visione materialista

Di fronte alla siccità e alla mancanza di piogge prevale, purtroppo, uno sguardo esclusivamente tecnico e materialista: si invocano modelli climatici, si denunciano errori gestionali, si discutono infrastrutture. Tutto vero, ma non sufficiente. È come se l’umanità avesse smarrito la consapevolezza di quella Realtà superiore che fa scaturire dai comportamenti morali e sociali le conseguenze che si manifestano nella natura, richiamando l’uomo alla responsabilità e al necessario e vitale risveglio interiore.

Quando si evoca l’‘ira della natura’, si corre il rischio di oscurare l’idea stessa di un Ordine superiore. È il segno di una negligenza radicale: abbiamo smarrito la memoria che nessun evento si compie senza una ragione, e che la responsabilità dell’uomo non si esaurisce nella dimensione tecnica, ma si radica anche in quella etica e spirituale.

Ignorare questa dimensione significa ridurre l’uomo a ingegnere di sistemi senza anima, incapace di cogliere che la natura non è un meccanismo cieco, ma il riflesso di un Ordine superiore che giudica e richiama. Solo riconoscendo questa verità possiamo superare i limiti della visione materialista, aprendoci a una responsabilità integrale, necessaria e vitale, capace di unire scienza moderna e gnosi sempiterna.

La crisi attuale

Negli ultimi anni il mondo sta affrontando una delle più gravi emergenze idriche della storia recente. Secondo le Nazioni Unite, oltre tre quarti delle terre del pianeta hanno già subito forme di degrado legate alla siccità e alla desertificazione. Più di 2 miliardi di persone vivono in aree colpite da scarsità d’acqua, e circa 700 milioni rischiano di essere costrette a migrare entro il 2030 a causa della mancanza di risorse idriche.

Le precipitazioni sono diventate sempre più irregolari: in molte regioni si registrano cali significativi rispetto alle medie storiche, mentre altre subiscono eventi estremi concentrati in brevi periodi. I bacini idrici si svuotano, i fiumi si riducono a corsi minimi, le falde sotterranee vengono sfruttate oltre la loro capacità di rigenerazione.

Le conseguenze sono evidenti: l’agricoltura entra in crisi, la sicurezza alimentare è minacciata, gli ecosistemi si impoveriscono e la biodiversità arretra. Anche l’energia e l’industria ne risentono, poiché l’acqua è indispensabile per la produzione idroelettrica e per i processi di raffreddamento.

Questa non è più una somma di eventi locali, ma un fenomeno globale che mette in discussione il rapporto stesso tra l’uomo e la natura. La scarsità di piogge e lo svuotamento delle riserve idriche impongono una riflessione più profonda, capace di andare oltre le spiegazioni immediate e di cogliere la portata sistemica della crisi. In questa prospettiva, la siccità non appare soltanto come un disordine ecologico, ma come un segno che richiama l’uomo alla sua responsabilità davanti all’Ordine superiore: un monito che possiede una valenza metafisica ed escatologica, perché rimanda al giudizio e al destino ultimo dell’umanità.

La dimensione spirituale

Le calamità che ci travolgono non sono mai prive di significato: esse parlano, ammoniscono e richiamano. Non sono soltanto eventi naturali, ma segni che custodiscono misteri e saggezze molteplici, oltre la dimensione punitiva. Tra le cause più gravi vi è la responsabilità delle azioni collettive: l’agire dell’uomo che imprime la sua impronta nella natura e ne incrina l’armonia cosmica.

Il Corano ricorda con chiarezza questa verità. Nella Sura al‑Aʿrāf (7:96) si legge: «Se gli abitanti delle città avessero creduto e praticato la pietà, avremmo aperto loro le benedizioni del cielo e della terra; ma essi [Ci] hanno tacciato di menzogna, e li abbiamo colpiti per ciò che commettevano». Nella Sura Nūḥ (71:10‑11), l’istighfār – la richiesta di perdono – viene direttamente collegato alla pioggia: «Ho detto: “Chiedete perdono al vostro Signore: Egli perdona sempre. Egli farà scendere dal cielo su di voi piogge abbondanti”».

Anche gli hadith confermano questa fondamentale verità. A titolo d’esempio, Ali, Principe dei Credenti – pace su di lui – nella sua celebre supplica del Duʿāʾ Kumayl, implora perdono per i peccati che provocano la discesa delle calamità, dicendo: «O Allah, perdona i peccati che fanno scendere le calamità». In tali invocazioni si rivela il legame profondo tra la condotta morale e le conseguenze cosmiche.

Ma questo messaggio non appartiene soltanto all’Islam: è universale. Ogni cultura, ogni religione e ogni filosofia custodisce testi che collegano la condotta morale alle conseguenze naturali. Dalla Bibbia, che lega la giustizia alla fertilità della terra, ai miti greci, che narrano di dèi che puniscono l’arroganza umana con carestie e siccità, fino alle tradizioni orientali, che vedono nell’armonia con il Tao la condizione per l’equilibrio della natura. Anche il concetto di Karma, pur nelle sue diverse interpretazioni, riflette l’idea che le azioni umane generino effetti che si ripercuotono sulla natura.

Quindi, la dimensione spirituale ci ricorda che la crisi non è soltanto ecologica, ma anche metafisica ed escatologica: i segni della natura giudicano il comportamento umano e lo orientano verso il risveglio. Siccità, calamità e difficoltà non sono meri fenomeni materiali, ma specchi di un ordine superiore che richiama l’uomo ai suoi limiti e alla sua responsabilità vitale.

Un invito all’umanità

È ormai dunque evidente a tutti che abbiamo commesso l’esiziale errore di confinare l’esistenza alla sola dimensione materiale, smarrendo il legame con ciò che la trascende e permettendo a corruzione, ingiustizia e arroganza di invadere la società, predisponendo così il terreno all’avvento di ogni sorta di calamità. La catastrofe globale che oggi colpisce l’ambiente in cui vive l’uomo non è soltanto un problema naturale, materiale: è un monito che scuote l’umanità intera. Pertanto, non basteranno nuove politiche ambientali senza un ritorno alla coscienza, alla responsabilità morale e all’autentica spiritualità. Solo così potremo tornare ad essere degni di godere delle “benedizioni del cielo e della terra” e convertire la crisi in una breccia di redenzione, principio di una rinascita universale, preludio alla Fine dei Tempi e all’avvento del Salvatore Promesso.


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